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Report di Giuseppe Riefolo sul Congresso SPI 2016 "Le logiche del piacere, l'ambiguità del dolore" (Roma, 26-29 maggio 2016)

Le quattro giornate di un congressista al XVIII congresso SPI

Confesso che per me i congressi comportano una certa fatica, ma so che hanno un importante significato di attestato di appartenenza e di vitalità di una istituzione. Pertanto, non credo ci possa essere un gruppo che non abbia un momento in cui se ne celebri l’esistenza pubblica e l’appartenenza dei singoli ad un progetto comune. Per questo mi iscrivo puntualmente a tutti i congressi SPI come ad altri eventi societari e cerco di parteciparvi il più possibile perché sono psicoanaliticamente convinto che il pensiero abbia necessità di istituzioni. Mi rendo conto che l’incipit segnala questa volta una mia particolare fatica. Provo a segnalare le mie perplessità e poi le impressioni positive.

Ho avuto alcune perplessità a priori rispetto a questo congresso. La sede e il titolo. La sede era già stata sperimentata alcuni anni fa per una sessione delle Giornate Italiane e già allora ricordo le lamentele per la difficile accessibilità della sede. Viene da chiedersi ovviamente se valga la pena ai “pensieri” di incontrarsi in un luogo così scomodo: si può raggiungere solo in motorino o in bicicletta, altrimenti taxi o passaggi da amici. Pensavo convenisse per i costi, ma poi ho scoperto che i costi della sede erano circa il doppio di quelli dello scorso congresso di Milano! Peraltro la sede è risultata particolarmente disfunzionale almeno per due motivi. Il primo è stato il pessimo impianto di amplificazione (a che serve programmare proposte video – ben tre in questa edizione – se poi non si sente nulla perché l’audio rimbomba nella grande sala?). L’amplificazione, peraltro era pessima anche per l’ascolto degli interventi. Per i panel, inoltre ho avuto la sfortuna di partecipare ad un panel in cui due gruppi (V8 e V9)erano separati da un divisorio estemporaneo di legno che ci ha costretti a stringerci intorno alla cattedra e a parlare sottovoce per non disturbare l’altro gruppo. Delle due l’una: o i panel sono troppi oppure ci si attrezzi per permettere una serena discussione nei panel.

Per quanto concerne il titolo, ammetto che non so bene – ne mi sono mai informato – su come sia scelto un titolo di un congresso, ma sin dall’inizio e tuttora continuo a sentire di non averlo ancora capito pienamente. Viene da chiedersi: le “logiche” sono solo del piacere e “l’ambiguità” solo del dolore? Un analista sa bene che non è così! Quindi, che vuol dire? Ad ogni modo, mi considero benevolo verso i limiti alcune volte enormi delle istituzioni e mi sento particolarmente allenato a cogliere dalle istituzioni le configurazioni positive che esse permettono. In questo caso ho pensato che rimaneva aperto il tentativo di possibili definizioni o suggerimenti psicoanalitici sul dolore e sul piacere. So bene che l’operazione non è facile neanche (o soprattutto) per uno psicoanalista, ma mi sentivo deluso (un po’ irritato…) ogni qual volta coglievo la posizione “difensiva” di confondere i concetti di piacere e di dolore con il senso comune in cui i concetti non erano collegati a precise operazioni psicoanalitiche. Pertanto ho colto positivamente che concetto di piacere fosse connesso alla “evoluzione di un blocco verso la narrazione” (Nino Ferro), oppure alla “condivisione dello spazio intersoggettivo” (Bastianini); alla dimensione del “processo-vortice” (Civitarese); o alla condivisione e recupero della dimensione del “paesaggio” (Lingiardi), per finire alla sintonizzazione profonda che un appassionato di arte può trovare nel proprio “museo interiore”, di cui ci ha parlato, in chiusura del congresso Filippo Ferro.

Ho trovato la prima giornata esageratamente ricca di proposte, quindi molto faticosa da seguire da parte di un semplice congressista. Sta di fatto che si è arrivati alle 13,45 per presentare tutte le relazioni e per dare finalmente la parola alle due domande poste dagli allievi! E’ un’abitudine inaugurata da qualche anno e attendo queste “domande” con curiosità perché trovo che rappresentino comunque un evento che può dare il segnale del movimento e del fermento nella Società. Infatti le due domande mi hanno permesso di capire una certa fatica che avevo provato negli interventi della mattinata. Il primo allievo propone a Panksepp un possibile nesso delle sue tesi con le posizioni di Freud del sogno e del Motto di spirito come dispositivi finalizzati alla ricerca di piacere. La domanda esplicita riguardava il punto di vista di Panksepp sulla dimensione del gioco nel “piccolo laboratorio psicoanalitico”. La bellezza di questa domanda è stata che Panksepp ha potuto concentrarsi su una piccola area della sua ricerca neurobiologica dove il gioco poteva essere presentato nelle sue evidenze di sostegno all’apprendimento e nelle sue oggettivazioni neurofisiologiche che, quindi, venivano a proporre importanti convergenze verso le tesi psicoanalitiche. Il congressista ha ripensato, quindi, alla fatica che aveva provato per la relazione di Panksepp della mattina in cui, in più passi, si era chiesto se qualcuno avesse mai aiutato Panksepp a capire che non si trattava di un congresso di psichiatria, ma di psicoanalisi, considerato che tra slides di neuroanatomia e riferimenti a oppioidi che intervenivano nel circuito del “piacere”, il nostro congressista non aveva potuto cogliere nulla che avesse sullo sfondo quello che l’allievo aveva convocato come “piccolo laboratorio psicoanalitico”. Panksepp è stato brillante e gradevole nella risposta e si è capito finalmente perché fosse stato invitato ad un congresso di psicoanalisti e perché quegli psicoanalisti siano molto interessati alle sue ricerche (“nella stanza di analisi bisogna mantenere un ambiente di gioco; il gioco è l’emozione più recente sul piano dell’evoluzione e i circuiti coinvolti sono i più recenti dei circuiti emotivi; il gioco ci rende più specificatamente umani; il deficit di attenzione e l’iperattività sono dovuti a sospensione dei circuiti del gioco”…). La seconda domanda coglieva nessi fra la Emmy di Freud e Ellen di cui ci aveva parlato Greenberg la mattina. Ciò ha permesso a Greenberg di precisare la posizione di Ellen fra le dinamiche dei disturbi di personalità isterici e quindi di puntualizzare la difficoltà dell’analista in questi casi di contattare pazienti che non possono/vogliono essere contattati perché il contatto viene sentito intrusivo. Peraltro Greenberg ha aggiunto un piccolo dettaglio che chiariva di molto la presentazione della paziente della mattina. Il comportamento di Ellen poteva essere colto come posizione transferale verso una madre affetta da una malattia cronica e depressiva che frustrava continuamente i tentativi di approccio della figlia. Il congressista, poi, si è sentito ben inserito nel proprio panel pomeridiano (V8) nonostante le difficoltà logistiche della sala che ospitava contemporaneamente due gruppi costretti a trovare soluzioni “creative” per non disturbarsi a vicenda. Alla fine il Panel è stata una buona esperienza. Gli incontri con l’autore del tardo pomeriggio sono risultati distensivi.

La giornata del sabato è risultata interessante prima di tutto perché il chair, questa volta, è riuscito a tenere gli interventi entro i limiti previsti ed inoltre, Roussillon ha introdotto la giornata suggerendo un excursus che, dalle posizioni del narcisismo di Freud, portava al piacere narcisistico dello sguardo della madre. La posizione border viene descritta come “clinica narcisistico-identitaria” e il tema dell’assenza dell’oggetto nella tesi della sessualità infantile di Freud diviene centrale nella posizione di Roussillion dove “il piacere è cogliere il riflesso del piacere dell’oggetto”. Questo processo di continua ricerca del “riflesso del piacere nell’oggetto” si articola in 6 fasi che segnano una progressione: autoconservazione; autoerotismo; condivisione; piacere dell’interiorizzazione (latte); piacere del volto della madre fino al piacere dell’incontro con un oggetto enigmatico “che è la chiave del piacere dell’esplorazione” e che è stata il centro dell’analisi di Roussillion. Il corpo e la comunicazione attraverso il corpo è centrale nella proposta di Roussillion: la pulsione, quindi, è un messaggero, mentre la sessualità è un linguaggio del corpo dove il corpo non è chiamato all’azione sessuale, ma, nel gesto della sessualità “a raccontare l’amore”.

Michela Marzano, se non altro, ha introdotto un tono vivo e provocatorio rispetto al rischio di un tono appiattito che spesso possono assumere gli interventi congressuali. La posizione eccentrica dell’intervento della Marzano riguardava la sua plurima identità di filosofa, di paziente anoressica e di scrittrice. Il suggerimento forte è stato, a mio parere, nella linea di Anna Arendt, la proposizione dell’evento come base necessaria per l’analisi filosofica e che, per la psicoanalisi diventa “evento incarnato”. La testimonianza diretta emergeva dalla convinzione del sintomo come “controllo alienato per non sbriciolarsi di fronte allo sguardo dell’altro a cui non si corrisponde” e, quindi del “sintomo come posizione economica rispetto ad un dolore più grande”. La posizione analitica della cura viene perfettamente colta dalla Marzano quando la descrive come “perdere il filo... il controllo... è la pazienza che segna il percorso della cura!”. Qualche perplessità il nostro congressista l’avrebbe avuta rispetto alle decise critiche della Marzano rispetto alle ipotesi di TSO nei casi gravi di anoressia: “molte forze politiche lo sostengono in parlamento perché ritengono si tratti di salvare la vita delle pazienti. Ma salvare cosa?”. Ovviamente il tono “diretto” della Marzano ha sottolineato in modo provocatorio alcune affermazioni della presentazione di Anna Nicolò nei passi in cui si occupava del disturbo anoressico. Non saprei dire, ma mi è sembrato che il conflitto fosse soprattutto della diversa origine del vertice: l’uno dei pazienti e della cultura comune, l’altro è il vertice del terapeuta e dell’analista. Anche questa volta la mia attesa delle due domande degli allievi è stata premiata perché nel primo caso ha permesso alla Nicolò (La Marzano era dovuta andar via...) di precisare in modo più esplicito e deciso alcune posizioni sul "femminile" che era stato un tema più volte sollevato dalla Marzano ("non è sufficiente legare l'anoressia verso la dimensione del "femminile" della sessualità e della relazione con la madre, ma il nodo concerne soprattutto il campo dell'identità costruita nel campo intimo della relazione..."). Il secondo intervento di un allievo ha permesso a Roussillion di collegarsi al tema molto discusso nella sessione concernente l'anoressia. Roussillion sottolinea il tema del vuoto, laddove la paziente si è ritirata. Il problema, complesso e difficile, concerne non tanto l'interpretazione del vuoto, quanto cosa accade quando la paziente "ritorna" ad occuparsi di Sé fuori dal vuoto!. Il panel a cui ho partecipato nel pomeriggio è stato molto gradevole (S8) e, non a caso è nella linea della mia curiosità per ciò che si muove nell'ambito degli allievi e nei percorsi formativi che la SPI offre ai propri allievi. Ho molto apprezzato la passione che emerge dai loro resoconti del processo di formazione e di appartenenza alla SPI; la leggerezza delle presentazioni attraverso stimoli video e di immagini (Candy-Candy; Remy;...) e la convinzione semplice e concreta che non si possa più evitare che la psicoanalisi si confronti con la realtà degli insegnamenti universitari! Non ho assistito alla premiazione e proiezione del film "Le Meraviglie" di A. Rohrwacher, ma, anche in questo caso, mi è stato riferito, che seguire il film pare sia stata una sofferenza per il pessimo sistema audio!

La sessione finale della domenica è stata intensa ed interessante. C'era sicuramente un filo di progressione che legava le proposte di Chianese, Civitarese, Lingiardi, Benjamin Ogden e Filippo Ferro. Solo viene da chiedersi come mai, gli analisti che fanno della definizione del tempo un elemento centrale del loro dispositivo di setting, molto spesso fanno fatica a rispettare i tempi concessi per i loro interventi congressuali! Questo ha determinato nella sessione degli interventi un clima di "rincorsa a dover dire", mentre personalmente preferisco che vengano proposti stimoli, possibilmente insaturi, ma sicuramente rispettosi dei tempi concessi. Ad ogni modo sottolineo soprattutto i suggerimenti di Civitarese sul tema del piacere connesso ai "movimenti vorticosi" possibili nel campo analitico; al piacere connesso alla dimensione del "paesaggio" proposto da Lingiardi e alla sottolineatura da parte di Ogden, di ciò che è psicoanalitico nell'opera letteraria che, prima che nel contenuto, emerge dal tono e dal clima che l'opera riesce a determinare nel momento in cui si fruisce dell'opera letteraria. Il Panel della mattinata non poteva finire meglio se non con la proposta di Filippo Ferro che ci presentava il piacere del processo di attribuzione di un'opera d'arte (ovvero ciò che un analista potrebbe vedere come il processo di ricerca intersoggettiva dell'autore nella relazione paziente/analista...)partendo da una dimensione interiore prima che quantitativa e l'importanza del disegno e dell'abbozzo prima che dell'opera compiuta. L'abbozzo è espressione delle potenzialità del processo che porta all'opera d'arte e che fa eco alle potenzialità che il campo analitico è chiamato a curare e sostenere dell'incontro fra paziente ed analista. In questa linea non poteva esserci chiusura più gradevole e leggera del "reading di letteratura contemporanea" dove due bravissimi attori accompagnati da altrettanto bravi pianista e violinista con la regia della nostra collega Alessandra Balloni, hanno sfumato le tensioni e le fatiche del congresso in piccole storie di intimità dolorose colte da passi letterari. L'ultimo passo di un personaggio di Emmanuel Carrère, ha commosso tutti, profondamente, perché disegnava il percorso di un giovane verso un grave ed invalidante intervento chirurgico che permetteva l'esaltazione del piacere di vivere insieme alla dolorosa ineluttabilità della perdita. Nino Ferro, che ha chiuso quindi il congresso, anch'egli visibilmente toccato dalla pièce, ha ellitticamente immaginato possibili "esercizi spirituali" per psicoanalisti in cui sia possibile incontrare profonde emozioni psicoanalitiche senza che si parli di temi espressamente psicoanalitici. Forse eventi come quelli del "reading", proposti anche per le sezioni della SPI in altre occasioni, possono permettere questa dimensione di particolare intimità.

Il congressista, dopo 4 giornate intense, può tornarsene al proprio studio di analista o all'istituzione territoriale dove, nonostante le più dure evidenze, si ostina a voler essere comunque psicoanalista e, quindi appartenente alla sua SPI!. Tornado a casa si scopre a riflettere che ogni istituzione propone intense frustrazioni e fatiche, ma che per fortuna si trova ad essere uno psicoanalista che, quindi, per definizione coglie la fatica e la frustrazione come cifra dei percorsi creativi. Si trova comunque a pensare che, magari, il prossimo congresso possa avere più attenzioni per i dispositivi concreti della comunicazione, perché come suggeriva un saggio nel 1967, "il medium è il messaggio". Quindi, bisogna che nella comunicazione si faccia particolare attenzione all'accessibilità della sede, alle disposizioni delle sale, ai sistemi di amplificazione, al numero e alla durata degli interventi e dei panel, alla disponibilità delle traduzioni o delle relazioni magari stampate in anticipo, allo spazio da concedere agli allievi...

 

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