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Intervista a Rossana Rossanda di Carla Busato Barbaglio

Una non Madre

Cara Rossana, nel 2009 è uscito il libro: “Tra femminile e materno l’invenzione della madre”, a cui tu hai contribuito con un lavoro dal titolo “Una non madre”. Ora, nella stessa sala dove è stato presentato il libro, ci ritroviamo a parlare appunto di non madri attraverso anche il docufilm “Sbagliate”.

-Tu in quell’incontro più volte hai ripetuto: Allora io chi sono?

Rossanda- Non sono una donna? Non sono però neanche un uomo. Mi pare che entriamo in un labirinto senza uscita: non sarei né una donna, né un uomo... bel problema. Preferisco la prima scelta, sono una donna anche se manco di alcune delle qualità che nel testo sono definite identitarie; cioè nego che siano "identitarie".

 -Che cosa ci ripeteresti oggi? Perché non hai cercato la maternità?

 Rossanda-Non mi fermo sulla “modernità”, tema sul quale si potrebbe discutere. Preferisco fare un pò di conti: prendiamo il nostro occidente, noi donne siamo per metà madri e un po’ meno della metà che non riusciamo ad esserlo; e questo, per metà non vuole esserlo, per metà perché non può esserlo; dentro questa metà che non può, nasce poi quel fenomeno a parte di donne che vogliono essere madri assolutamente fino a fare delle cose, anche corporalmente terrificanti: ho conosciuto donne che hanno fatto su di se pazzie ormonali per essere madri. Ma, io, allora, che cosa sono? Non le ho fatte. Sono allora una donna normale, oppure una donna malata, oppure semplicemente anormale, oppure come mi capitava nel partito comunista, non sono una donna affatto? Perché se nel partito si doveva fare una commissione di lavoro, c’era sempre qualcuno che diceva: ci mettiamo dentro Amendola, Ingrao, la Rossanda, e poi ci vuole una donna perché quella che sulla carta d’identità era una donna, non raffigurava tipicamente l’immagine di madre (allevamento, scuola, bambini, assistenza, cura).

Mi sembra sia molto presente ancora oggi anche nella letteratura, nel cinema questo modello. Almodovar in ‘Tutto su mia madre’ fa vedere come ci sia un problema con la figura materna da parte degli uomini, un problema ancora aperto. Anche qui, le questioni che mi sembrano irrisolte sono più di quelle che mi sono chiare: il rapporto con la madre, per non parlare del rapporto con la sua bisessualità che è il tema affrontato da Almodovar, implicherebbe una competenza psichica che io non mi sento di avere.

 -In quell’incontro, ti chiedevi anche: nelle donne, la maternità è iscritta nel DNA femminile oppure è una straordinaria funzione “materna” legata al femminile e collegata a una struttura organizzativa in cui gli uomini sono andati via via assumendo un potere determinante?

Rossanda-La sola cosa che posso dire con cognizione di causa è che in qualcuna di noi può apparire intollerabile il bisogno di maternità, e tanto più intollerabile il mancarne. Ma può apparire intollerabile la disposizione psichica a farne a meno, senza che questo renda “anomala” la persona. Bisogna capire che cosa si intenda per persona normale o anormale: sono attributi assai pesanti, se sono applicati a qualcun altro o anche a se stessi. Vorrebbe dire comunque che il bisogno fin tormentoso di maternità non è iscritto con lettere di fuoco nel Dna femminile, ma non è vero neanche che siamo irrealizzate se non facciamo spazio dentro di noi a un altro percorso vitale, se non diamo insomma vita ad un’altra creatura, proprio nostra figlia. E’ una facoltà che è la più grande asimmetria fra i sessi e la più densa di conseguenze storiche, sociali, culturali, psicologiche. Ma forse non tutte “identitarie”, nel senso di “non tutte presenti” là dove si può dire che l’identità di un soggetto è completa, e viceversa, dove non si può dirlo. Questo significherebbe che per essere donna al completo bisognerebbe presentare tutte le qualità che a un certo punto del suo sviluppo la società definisce identitarie. Ma bisognerebbe definire a che punto di sviluppo è la società e anzi, precisare con quali categorie misuriamo lo sviluppo o il non sviluppo. E se lo ha definito sempre o solo in certi periodi, in certe civiltà. E quindi e solo in certi periodi o luoghi che l'umanità ha dato loro un‘importanza fondamentale nella definizione genetica: “Questa sicuramente è una donna perché è... .... ..... .....” oppure “Questa sicuramente non lo è perché.... ..... ......” .

Non so se ho avuto molti spazi ma mi sono bastati e non mi sono mai sentita mutilata o priva di qualcosa. Ho conosciuto molte donne che hanno avuto figli, ma che non sono state figure femminili complete, piene nel senso che si sono sentite impoverite o dedite soltanto alla faticosa maternità, al marito o alla suocera. Mi sembra che questa caratteristica sia molto presente nelle culture orientali più che nella nostra cultura occidentale attuale. Una donna che si sposa deve essere dedicata interamente alla famiglia della suocera o al marito. Ma perché questo che la limiterebbe in altri aspetti, dovrebbe essere una completezza nella sua vita? Secondo me sarebbe piuttosto un limite, non una completezza...

Roma, maggio 2016                                                

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