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Report di Chiara Benedetti “La psicoanalisi e il non rappresentato Cornice, luogo e processo”, Howard B. Levine, MD (15 aprile 2021)

Giovedì 15 aprile si è svolta una serata scientifica presso il Centro di Psicoanalisi Romano che ha visto la presentazione da parte di Howard B. Levine di un suo lavoro avente come tema: La psicoanalisi e il non rappresentato. Cornice, luogo e processo.Come suggeritoci da Giuliana Rocchetti nella sua introduzione, i temi su cui ci troveremo a riflettere nella serata sono i funzionamenti psichici ed in particolare aspetti della sofferenza a lungo ritenuti non di pertinenza della psicoanalisi; temi però che hanno cimentato analisti come Winnicott, Bion, Green, ma anche Mancia e De Toffoli e che interrogano gli analisti contemporanei.

Sarà una immersione in ciò che si svolge al di fuori o prima della rimozione, nelle tracce delle esperienze precoci antecedenti la possibilità di rappresentare. Rocchetti guida il nostro ascolto centrando la nostra attenzione sul processo ed il lavoro psichico trasformativo catalizzatori della relazione del nostro ospite, sottolineando l’aspetto “fondativo” della presenza in psicoanalisi.

 

L’argomento del lavoro presentato da Levine è evocativamente introdotto dallo stesso portandoci nelle stazioni della metropolitana di Londra, dove una voce ricorda ai passeggeri: “mind the gap”. L’indicazione data è di prestare attenzione, ovvero rendere per noi psichico (mind) ciò che è vuoto (gap) e che si declina per l’analista come non rappresentato e non rappresentabile.

La psicoanalisi tratta non della realtà sensoriale bensì di quella psichica e proprio gli elementi costituenti di questa sono, riprendendo Bion, difficili da capire, spiegare e tradurre in parole.

La prima topica freudiana, sostiene Levine, era una teoria estremamente efficace rispetto al conflitto nevrotico, ovvero funzionava molto bene a livello di inconscio rimosso o dinamico i cui contenuti e significati sono fissi (desideri edipici e angosce di castrazione per citarne alcuni). Gli ampliamenti della teoria a partire dalle relazioni oggettuali rimangono utili per capire e trattare le nevrosi o i settori nevrotici della mente. I pazienti le cui difficoltà però andavano oltre la nevrosi spinsero ad una revisione della prima topica aprendo a prospettive teoriche e tecniche tutt’ora da esplorare e con le quali continuiamo a misurarci. Il passaggio tra la prima e la seconda topica è, riprendendo la definizione di Green, quello da un modello al centro del quale c’è il pensare (desiderio, speranza, aspirazione) ad uno basato sull’atto (impulso come azione interna, automatismo, agire). L’analista deve quindi affrontare la natura della pulsione, considerata dall’autore alla sua origine somatica, come una forza e non nei termini del suo contenuto ideativo o del suo significato. Il desiderio, che implica un oggetto ed una direzione, è una evoluzione, un risultato dello sviluppo, un prodotto di una trasformazione che non può emergere sino a quando un derivato della pulsione non attraversi lo spazio vuoto della frontiera somatopsichica sino a raggiungere la posizione in cui può divenire psichico. La pulsione risulta quindi alla sua origine somatica polisemica e polimorfa. La libido è comune a tutti ed è essenziale per la strutturazione della mente, il desiderio è di contro tipico dei pazienti nevrotici o delle parti nevrotiche della mente.

La psiche e l’inconscio di cui ci parla Levine, sono entrambi dotati di territori rappresentati (nevrotico; inconscio rimosso o dinamico) e non rappresentati (Es; inconscio non strutturato). Questi due settori della mente, utilizzano due diversi modi di comunicazione inestricabilmente connessi e simultanei e forniscono le parole (i significati semantici) e la musica (effetti para verbali) del nostro discorso. Dalla parte rappresentata della psiche comunichiamo usando il significato semantico delle parole; dalla parte non rappresentata della psiche comunichiamo inconsciamente attraverso le identificazioni proiettive normali, evocando emozioni nell’altro. Il territorio del non rappresentato consta di elementi provenienti dall’Es, dalla percezione di sentirsi senzienti e dal residuo dei traumi passati, di origine interna o esterna. Il non rappresentato può essere fonte potenziale di crescita e di significati, oppure qualcosa di disorganizzante e dirompente per l’elaborazione e lo sviluppo psichico. Le sue comunicazioni per altro non compaiono mai sole ed anche nella più caotica o aggressiva reazione può essere individuata una richiesta muta di comprensione. Sfida degli analisti è dunque quella di trovare in ciò che proviene da questo territorio qualcosa di costruttivo. Lo spazio vuoto è quello spazio potenziale in cui si può collocare il significato saturo degli impulsi dell’Es, forze nella maggior parte dei casi senza un significato specifico. Così come le pulsioni nella loro origine somatica anche emozioni, ricordi, percezioni e la maggior parte dell’inconscio, non possono essere conosciuti completamente né possono trovare un significato tramite le modalità dei sensi ed essere descritti completamente a parole. Le tensioni e le eccitazioni che essi producono richiedono alla mente di essere rappresentati, provocano cioè quello che l’autore definisce come Imperativo Rappresentazionale, lavoro trasformato necessario alla creazione del pensiero. Creare questo contenuto e comunicarlo, a se stessi o agli altri, non può essere una operazione onnicomprensiva, dati i limiti della struttura e le regole del linguaggio, per tanto c’è sempre un residuo, uno spazio vuoto che apre alla possibilità di essere riempito con qualcosa di nuovo. Questo pensiero viene sostanziato da Levine dall’affermazione di Freud che non si possono avere ricordi di infanzia, bensì ricordi sull’infanzia, ed è ampliato dal prendere in considerazione quella parte non satura dipendente dal contesto, dalla coppia o dal gruppo e che determinerà a sua volta la creazione di significato. È in questo spazio aperto che agisce l’azione terapeutica analitica. Aggiunge l’autore: la trasformazione e la forma finale (satura) che una data sensazione acquisirà alla fine dipendono in parte da forze generate dal contesto conscio ed inconscio, interno e esterno, relazionale o auto- generato in cui avvengono. Ciò significa che i significati (contenuto ideativo finale) spesso o forse sempre saranno dipendenti dal contesto specifico e dalle dinamiche della loro costruzione e ne porteranno l’impronta. Il prodotto della trasformazione sarà una delle possibilità.

Il cuore della psicoanalisi contemporanea quindi sono i movimenti trasformativi della psiche, non solo i suoi contenuti, ed è questo l’elemento che le teorie devono cogliere: piuttosto che di psicoanalisi quindi, dovremmo occuparci di psicoanalizzare, intendendo con questo il processo che collega e include la formazione dei simboli, la produzione dei significati ecc.

Il processo psichico consiste nell’elaborare, un processo che espande la struttura e non solo i contenuti della mente. La creazione e la co-creazione di narrazioni danno una forma a forze ed emozioni che erano non saturi e non rappresentati; si tratta quindi non solo di recuperare, ma anche di dare forma e modellare forze ed emozioni emergenti che vengono evocate nell’incontro tra i due partecipanti in stanza di analisi. Citando Rocha Barros, Levine ricorda come il linguaggio dell’analista è il prodotto di una risonanza: le cose risuonano nell’analista e nel paziente e sono trasformate dai mondi interiori e dalle risorse che ciascuno ha; non ci troviamo quindi nel campo della riproduzione ma nella costruzione.

Dopo aver presentato il suo modello, Levine aggiunge alcune considerazioni riguardo al setting in cui i processi avvengono.

Attraverso Parsons e Donnet legge il setting classico offerto dall’analista come una incarnazione dell’apparato psichico, il luogo in cui si possono incarnare, replicare ed energizzare le capacità trasformative della psiche. Ancora una volta ci troviamo però di fronte ad un obiettivo avvicinabile asintoticamente con i pazienti nevrotici: cosa accade infatti quando il problema è situato nella parte della mente che non è stata ancora rappresentata e le parole non possono essere trovate? Rifacendosi a Bleger, Levine indica la cornice come la sede della simbiosi multipla e il deposito delle parti psicotiche della personalità che crea un mondo fantasma capace di tenere sotto controllo le forze caotiche non rappresentate. Quando la cornice viene minacciata o disgregata la simbiosi ed il contenimento possono rompersi ed il paziente può attuare quelli che potrebbero essere intesi come attacchi o tentativi di controllare l’analista. Ancora una volta dobbiamo porre attenzione al non rappresentato, cercando di rivolgerci ai residui delle prime mancate sincronizzazioni e gli errori nella prestazione di cure da parte dell’ambiente ad esempio. La domanda che può guidarci in tali situazioni è quali meta condizioni sono necessarie al paziente per raggiungere una stabilità simbiotica sufficiente a garantire la realizzazione e la conservazione di un senso di sé, esplorando la possibilità di un tentativo di attualizzazione di una ripetizione micro traumatica di un trauma del passato. Per altro, ci ricorda l’autore, spesso la cornice che riceve la simbiosi non è presente nel processo analitico, andando a costituire la resistenza più problematica. Angosce, difese e reazioni impulsive che avvengono nelle pause e a conclusione dell’analisi sono connesse alla disgregazione della cornice che sprigiona le forze contenute nella simbiosi muta: devono quindi essere auspicabilmente analizzate.

Attraverso delle brevi esemplificazioni tratte dalla clinica, Levine indica inoltre come sia possibile che la cornice del paziente abbia incorporato la concretezza fattuale dell’analista e del suo studio con tanto di suppellettili in maniera autistoide, come una specie di seconda pelle. In questi casi l’interpretazione può risultare non efficace, ma è notando la reazione del paziente e dandole un nome che l’analista può divenire qualcosa di più di un oggetto autistico; in seguito potrà tentare di offrire delle spiegazioni sulle cause nel tentativo di fornire ulteriore sostegno. Con Nissen ci dice quindi che il non rappresentato deve potersi dispiegare e l’oggetto deve emergere lentamente.

 

Alla lettura del lavoro fa seguito un partecipato dibattito da cui estraiamo alcuni pensieri di Levine: la metapsicologia freudiana è un work in Progress e la psicoanalisi contemporanea sta costruendo un secondo edificio essendo il primo, edificato dal padre della psicoanalisi, quello della nevrosi. Richiesto da più parti se non ritenga che il training andrebbe rivisto, proprio alla luce del fatto che la psicoanalisi si occupi del non rappresentato, il nostro ospite risponde non prendendo una posizione netta ma ricordando come ogni training, così come ogni analisi, sia un viaggio nell’ignoto; è necessario fornire degli strumenti adatti a ciò che i giovani analisti troveranno sulla loro strada ed è necessaria una metapsicologia che contenga strumenti diversi e che trasmetta entusiasmo per rendere possibile il loro utilizzo in maniera creativa. Fondamentale è infine tramandare lo spirito di ricerca per poter trovare le risposte necessarie per ogni paziente. L’analista è assimilato ad un acrobata del circo che sposta il baricentro per mantenere l’equilibrio tra le due etimologie tedesche del verbo rappresentare: “rendere nuovamente presente” e “mettere avanti”. La sfida degli analisti contemporanei è quella di trovare strumenti e costruire elementi che rendano possibile affrontare il non rappresentato ed il non rappresentabile.

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