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Report di Veronica Nicoletti su “Archeologia della mente. Le difese come regolazioni adattative” (16 gennaio 2021)

 

Il 16 gennaio 2021 si è svolto sulla piattaforma zoom l’evento curato dal gruppo di studio “Archeologia della mente”, che si riunisce dal 2012, sotto la guida di Teodosio Giacolini e Cristiana Pirrongelli. L’evento ha avuto una partecipazione numerosa (197 persone) a testimonianza del fervido interesse suscitato dai temi trattati, ovvero l’evoluzione teorica che considera la relazione di cura non solo legata a una dinamica transfert-controtransfert, ma anche all’influenza dell’attaccamento, dei neuroni specchio fino all’inter brain synchronization. In particolare il focus della giornata è posto sulla dimensione difensiva che si può evidenziare negli stati dissociativi, nella dinamica conflittuale inter-intrasoggettiva attraverso cui l’individuo cerca di adattarsi alla realtà esterna e interna.

Con la regia attenta e puntuale del Chair Domenico Timpano, che ha scandito i tempi delle presentazioni e moderato la discussione, la giornata è iniziata con l’intervento introduttivo di Guglielmo Spiombi, che presenta i riferimenti teorici del gruppo di lavoro, in particolare le neuroscienze affettive con il suo esponente principale Jaak Panksepp, l’area dei modelli multi-motivazionali nati nella prospettiva relazionale e la visione delle difese come strategie adattative all’ambiente. L’autore esemplifica l’influenza di tali modelli attraverso il significato della identificazione proiettiva, intesa come modalità di risonanza intersoggettiva mediata dall’attivazione dei neuroni specchio, con finalità conoscitive e adattative, non già solo come un meccanismo di proiezione di fantasie inconsce. Il punto centrale delle riflessioni dell’autore è il rilievo dell’impossibilità al momento attuale di una immediata traduzione nella pratica clinica delle acquisizioni nell’ambito della ricerca, per la differenza dei linguaggi utilizzati e dei metodi di rilevazione delle informazioni. Tuttavia viene auspicato un confronto continuo tra le neuroscienze affettive e la psicoanalisi nel rispetto dei reciproci ambiti epistemologici di riferimento.

Dopo l’intervento introduttivo, viene dato spazio alla clinica, scelta a mio avviso indovinata in quanto si crea una sorta di “esperienza dal vivo” che contribuisce a illuminare le successive riflessioni teoriche. Cristiana Pirrongelli, con il caso di “Ortensia”, presenta una rivisitazione di un trattamento effettuato trenta anni prima alla luce delle nuove conoscenze neuropsicoanalitiche. La storia di una lunga relazione analitica di una paziente con sintomi dissociativi post-traumatici, attaccamento insicuro e grande sofferenza emotiva, viene riletta alla luce dell’importanza dell’attenzione alla sensorialità, alla sintonizzazione, al timing, al rispecchiamento costante e all’ascolto profondo del corpo. Tutto ciò ha consentito la condivisione di emozioni e sensazioni tra paziente e analista e l’utilizzo della dimensione preverbale legata all’ambito dell’implicito, piuttosto che di quella interpretativa verbale. L’ascolto del caso risulta commovente sia per l’esito del trattamento, che per la capacità dell’analista di confrontarsi con dimensioni traumatiche, mantenendo un’attitudine alla sintonizzazione profonda che ha consentito alla paziente di sentirsi autorizzata a ridare vita alla sua capacità di amare, preservata in lei nonostante il trauma. Coraggioso è stato lo sforzo dell’analista di ripensare, da una prospettiva teorica diversa, un caso trattato molto tempo prima.

A seguire Anatolia Salone, con il suo intervento “Relazioni e affiliazioni: una prospettiva integrata sull’adattamento”, ci fa precipitare nella dimensione microscopica della branca di ricerca denominata neurobiologia dell’affiliazione. Secondo questa prospettiva, viene chiamato cervello affiliativo l’insieme dei network e delle strutture cerebrali interconnesse che sottendono la capacità degli esseri umani di creare e mantenere strette relazioni affettive. Dagli studi effettuati secondo questa cornice teorico-sperimentale, è emerso che ciò che nell’adulto diviene attaccamento al partner, agli amici stretti, ai mentori o al gruppo di pari, ripropone gli schemi di base acquisiti nel legame con la madre in specifici “periodi sensibili”, ossia specifiche finestre temporali delle prime fasi di vita in cui il cervello può utilizzare alcuni stimoli ambientali affettivi per promuovere al meglio la propria maturazione e la plasticità cerebrale, in un circolo virtuoso in cui sarà più facile adattarsi a nuove situazioni relazionali e promuovere nuovi legami affettivi. Il funzionamento integrato di Ossitocina e Dopamina a livello del nucleo Striato può promuovere l’apertura di periodi sensibili e la plasticità neuronale, che contribuisce a regolare i nostri legami. Ne consegue che l’aspetto relazionale, quello che da una prospettiva psicoanalitica origina dalle prime relazioni precoci con la madre - anche nella vita intrauterina - e con le figure di accudimento e che condiziona la strutturazione della nostra mente e le relazioni che stabiliamo con i nuovi oggetti, è già implicito nel funzionamento neurobiologico. Altra caratteristica chiave dell’attaccamento umano, indagato in ambito neuroscientifico, è la sincronizzazione sia di tipo biocomportamentale, cioè l’accoppiamento di processi psicologici e comportamentali durante il contatto sociale, sia corporea, cioè a carico di ritmo cardiaco, rilascio ormonale e ritmi cerebrali.

Per l’autrice appare evidente l’importanza per lo psicoanalista di avere una cornice teorica che concepisca la mente umana in maniera complessa, al fine di orientare determinati tipi di ricerca sperimentale, così come molti ricercatori si sono giovati delle teorie psicoanalitiche per orientarsi e interpretare i dati acquisiti. Da quanto riportato, emerge una riflessione su alcuni aspetti della relazione e della tecnica analitica. Per l’analista non solo è importante tenere presenti gli aspetti impliciti e non verbali sottesi alla relazione analitica, ma anche contemplare, nella propria tecnica interpretativa, il potenziale trasformativo che deriva dai processi di sincronizzazione neurobiologica che possono aver luogo all’interno del setting.

La giornata prosegue con l’intervento di Francesco Castellet y Ballarà che, nel suo lavoro dal titolo le “Basi neurobiologiche della dissociazione”,evidenzia le convergenze tra neuroscienze cognitivo-affettive e psicoanalisi relazionale sulla genesi della dissociazione come legata a un trauma relazionale precoce.

In particolare, il trauma relazionale precoce altera le connessioni intracerebrali, riduce il controllo inibitorio prefrontale sul sistema limbico e induce attaccamento insicuro\disorganizzato, che interferisce con lo sviluppo di capacità di mentalizzazione e di autoriflessione. In questa prospettiva, le difese di tipo dissociativo e la scissione degli affetti non hanno origine primaria da inibizioni psichiche, ma rappresentano - sottoforma di modalità procedurali - inibizioni presenti nella struttura del dialogo che il bambino ha avuto con un caregiver incapace di coinvolgersi in maniera sintonica e interattiva in una relazione emotiva. Tutto ciò porta allo sviluppo di rappresentazioni non integrate o dissociate, che possono essere trasmesse anche tra le generazioni sotto forma di derivati procedurali. La dissociazione diventerebbe quindi una difesa dal trauma relazione e sociale, attraverso la distruzione della fiducia di base verso un co-specifico vissuto come fonte di aiuto. Esistono maggiori convergenze tra neurocognitivismo e psicoanalisi, soprattutto nell’interpretare i meccanismi di difesa - tra i quali anche l’adattamento, la resilienza e il coping - come forme di autoregolazione emotiva causate da esperienze traumatiche.

Recentissimi lavori di neurobiologia comparata stanno svelando i meccanismi molecolari, cellulari e di network neuronale della dissociazione, in particolare il ruolo del sistema dell’ossicitocina e della prolattina e i relativi circuiti neuronali.

Anche il contributo della psicofisica a un modello computazionale della mentecervello permette di ipotizzare e sperimentare il suo funzionamento in termini di predittività e inferenza, all’interno della cornice evolutiva darwiniana e termodinamica. In questa ottica, secondo l’autore, tutte le difese - da quelle nevrotiche a quelle psicotiche - sarebbero tentativi predittivi secondari di maneggiare le emozioni, laddove le predizioni precoci infantili hanno fallito. La dissociazione può essere intesa come una diretta conseguenza della modalità inferenziale\predittiva di funzionamento del nostro cervello. Il meccanismo della dissociazione imporrebbe una costruzione dell’oggetto automaticamente privata delle sue caratteristiche impreviste e quindi traumatiche; la realtà esterna non esisterebbe dunque in senso assoluto, ma solo relativamente all’atto di previsione, che può essere modificato in modo sostanziale a scopo autoprotettivo se necessario.

Durante lo spazio dedicato alla discussione, da più parti vengono sollecitate riflessioni sul caso clinico, in particolare sull’importanza del clima di sicurezza generato dalla relazione con un analista sintonizzato alla ricezione di canali sensoriali legati al setting, al paziente e al controtransfert somatico, come veicolo di riapertura di “finestre di legame” utili alla riscrizione della storia relazionale del paziente e alla modifica delle sue previsioni disadattative o delle memorie traumatiche. Vengono inoltre citati nuovi e interessanti studi neurobiologici sull’uso di sostanze dissociative per creare modelli sperimentali di regressione controllata, volti alla ricerca di nuove possibili soluzioni predittive meno disfunzionali, che alcuni auspicano possano dare il via a gruppi di studio nella Società Psicoanalitica Italiana in linea con i recenti avanzamenti nella cura farmacologia delle depressioni resistenti. Viene inoltre sottolineata l’importanza di un lavoro sulla sincronizzazione di memorie non cognitive nella relazione analitica, al fine di ripristinare la continuità del sé del paziente, che sostiene difese più adattative, ovvero flessibili. Infine viene ribadito il fil rouge della giornata che attiene alla necessità di inquadrare il rapporto tra psicoanalisi e neuroscienze in un’ottica integrata, capace di fare il lutto della ricerca della verità assoluta e di rinunciare a una tentazione riduzionistica, riconoscendo quindi la complessità della realtà, dell’essere umano e della relazione di cura.

Dopo la discussione, i lavori riprendono con l’interessante lavoro di Claudia Spadazzi sulla “Psicosessualità e i sistemi affettivi di base” che riporta l’attenzione sul tema della sessualità, fondante per la psicoanalisi e che col tempo sembra avere perso la sua centralità. Dalle neuroscienze affettive, lo studio del Lust System offre molte informazioni sullo sviluppo del corpo e del cervello in senso maschile/femminile e sulla funzione sessuale: dal ruolo della genetica, ai neurotrasmettitori, agli ormoni implicati. Tale conoscenza è un utile strumento quando, nella clinica, ci si trova di fronte a quelle forme di neosessualità che sono sempre più diffuse e rispetto alle quali la teoria psicoanalitica classica non offre un inquadramento teorico: omosessualità diverse, travestitismi, bisessualità, identità transgender. Inoltre, il vasto tema delle disfunzioni sessuali, in genere lontano dalla psicoanalisi in quanto attinente al “comportamento” sessuale, può essere compreso e contemporaneamente affrontato su basi neuroscientifiche e alla luce della complessità delle dinamiche inconsce. Non è infrequente, infatti, che disfunzioni sessuali compaiano nel corso di un trattamento psicoanalitico o che rappresentino il motivo della consultazione: di qui la necessità di un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico. In particolare l’autrice si sofferma sul dolore genito-pelvico nel quale, secondo una recente ipotesi neuroscientifica, vi sarebbe un’alterazione nella rappresentazione cerebrale dei genitali interni, con mancato accesso alla penetrazione. L’autrice ipotizza che il deficit di rappresentazione dei genitali possa essere legato a un caregiver che scotomizza la genitalità della figlia femmina e la priva dell’investimento libidico necessario alla sua rappresentazione cerebrale. Ciò consente una diversa visione delle disfunzioni sessuali, che non le consideri solo in termini di difese ma anche in termini di aspetti predittivi legati a eventi.

Infine l’autrice spera che permanga fertile il dialogo di reciproco scambio tra neuroscienze e psicoanalisi, affinché come psicoanalisti non rimaniamo ignoranti riguardo alla sofferenza dei nostri pazienti, sviluppando nuovi strumenti di comprensione per una sessualità oggi così diversa dal passato. Allo stesso tempo, i neuroscienziati necessitano di conoscere le dinamiche inconsce e le nostre ipotesi esplicative per non ridurre le disfunzioni sessuali solo a qualcosa di meccanico privato del significato psichico che sottende alla sessualità

A conclusione della giornata Teodosio Giacolini presenta nel lavoro dal titolo “Conflitto e difese in psicoanalisi e psicobiologia” una prospettiva mirante a creare un collegamento tra psicoanalisi e neuroscienze affettive, partendo dalla considerazione della presenza di una matrice evoluzionistica in tutta l’opera di Freud. Infatti, il pensiero evoluzionista, presente in Freud fin dai suoi studi di neurobiologia, attraversa tutta la sua opera, evidenziando la sua convinzione che la spiegazione dei funzionamenti attuali, normali e patologici, possa essere individuata non solo nella ontogenesi dell’individuo, ma anche nella filogenesi della specie. La difesa è un esempio significativo di questo punto di vista, da Freud considerata una sorta di Giano Bifronte, che da una parte regola l’interazione adattativa tra individuo e gruppo di appartenenza e dall’altro, traslata nel funzionamento mentale umano, ne regola le tensioni interne. Attraverso il concetto di Difesa, e del suo sinonimo la Rimozione, Freud propone una teoria degli Affetti a cui oggi può essere data una chiarezza maggiore attraverso gli studi delle neuroscienze affettive sui sistemi motivazionali/emozionali primari, pattern organizzati di comportamenti e funzionamenti neurofisiologici. Di particolare interesse sono le manifestazioni del FEAR system, il sistema della paura, rintracciabili nei tipici fenomeni della Conversione, caratteristica delle sindromi isteriche per prime analizzate da Freud. A questo proposito, l’autore ripropone un’interessante rilettura di “Osservazioni di un caso grave di emianestesia in un paziente isterico”, lavoro di Freud del 1886, nel quale i sintomi tipici della conversione isterica non vengono attribuiti a conflitti di natura sessuale, ma sono collegati a gravi minacce alla propria integrità psicofisica e sociale. Grazie al contributo delle neuroscienze affettive, oggi sappiamo che simili minacce attivano il FEAR system e, nella sua dimensione sociale, il sistema comportamentale della dominanza\sottomissione. Di fronte a un trauma o a un pericolo, si attivano come in una sorta di “cascata” - termine coniato dalla psichiatra australiana K.Kozslowska - di step successivi il FEAR System e il RAGE System (sistema della rabbia), portando alla manifestazione di una serie di comportamenti difensivi e stati psicofisiologici rintracciabili anche nei disturbi da conversione. In questo senso, la cascata difensiva sarebbe alla base dell’origine filogenetica dei disturbi di conversione

La giornata si conclude con ulteriori scambi sollecitati dai vari interventi, anche raccogliendo i numerosi commenti via chat sia di apprezzamento dei lavori, sia di riflessione sulla teleanalisi, modalità legata all’attuale periodo pandemico. Ci si interroga sull’importanza dell’integrazione multisensoriale nel lavoro dell’analista e di come questa possa essere modificata e messa alla prova in un contesto a distanza, laddove manchi la dimensione corporea. Alla fine rimangono senza risposta quesiti e spunti di riflessione, proprio come nello spirito di ricerca che si può apprezzare in tutti i lavori presentati.

 

Vedi anche

Report di Pirrongelli C., L'inconscio oggi: intrecci prospettici tra Psicoanalisi e Neuroscienze (Società Psicoanalitica Italiana, Webinar 26 settembre 2020)

Report di Elisabetta Greco sulla Giornata Seminariale "Gruppo di studio: Archeologia della mente. I sistemi motivazionali/emozionali nella dinamica delle relazioni umane" (14 gennaio 2017)

Mancia M., Sulle molte dimensioni della memoria: neuroscienze e psicoanalisi a confronto. 2000

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