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Riefolo G. - Freud e Janet: sua maestà l'Io e il soggetto plurale. Possibili suggerimenti di Pierre Janet a un analista (2015)

Giuseppe Riefolo, 2015

“ritengo che il pronome ‘Io' o ‘me’ sia una estrema

sintesi di un gran numero di azioni personali".

(Janet, 1929, 425)

Progetto. Che uso posso fare delle tesi di Pierre Janet.

Voglio solo premettere che cerco di proporre in questa sede riflessioni che mi permettano soprattutto una posizione che tento di assumere nella stanza di analisi oltre che nel mio lavoro nei servizi. Curo soprattutto la possibilità di sostenere i processi creativi a partenza proprio dalla presentazione delle difficoltà e della sofferenza dei pazienti che incontro, rispettando che la sofferenza, come bene sanno gli psicoanalisti, immediatamente si coniuga in processi e in organizzazioni difensive, ma che attende soluzioni di ordine creativo. Confesso che, prima che una posizione teorica e tecnica, è una posizione piacevole che mi fa amare la psicoanalisi e il mio lavoro con i pazienti e mi fa sentire fortunato per il lavoro che faccio. In questo senso mi accorgo che la mia partecipazione soggettiva ed attiva al processo analitico, attraverso la curiosità, il continuo e mutevole senso di autenticità, la sorpresa, la sensazione di arricchimento che provo, l’opportunità che scopro nell’osservare benevolmente e creativamente i miei errori, i miei preconcetti sentendo in questo il paziente come “unico collaboratore che abbiamo in analisi” (Bion, 1983, 10 e 52), cercando continuamente le ricche opportunità degli enactment, mi porta continuamente alla posizione di “dissociare il sintomo” ed ogni comunicazione del paziente e mia. Per "dissociare il sintomo" intendo una posizione che scopro e che curo nella visione di un film o di un'opera d'arte, ovvero "far sì che un uomo veda la cosa che ha davanti agli occhi, mostrandogliene un'altra" (Auster, 1982). Non si tratta di "sospettare" una storia diversa, ma che, attraverso "il rilassamento dei nessi associativi" (Bleuler, 1911) che strutturano solidamente il sintomo, possa ricomporsi una scena nuova che permette "un avanzamento del campo relazionale" (Boston Change Process Study Group, 2010).

Nella linea di Janet, la patologia deriva dalla sospensione del fisiologico processo di sintesi in cui viene a verificarsi che una polarità, non essendo più bilanciata nel processo dall’altra polarità, prevale. L’elemento importante che voglio sottolineare è che la patologia non è il prevalere di un polo sull’altro, ma prima di tutto la sospensione del fisiologico Processo Dissociativo[1] dove la “coscienza personale dell’individuo” è una dimensione continuamente mobile: “… nella mente, l’attività attuale, capace di comprendere nuove sintesi e di adattarsi a nuove condizioni, deve equilibrarsi con questa forza automatica che vuole mantenere invariate le emozioni e le percezioni del passato…. Quando l’attività creatrice della mente… cessa improvvisamente di agire e si riposa prima di aver portato a termine il compito, allora la mente è interamente squilibrata e lasciata senza contrappeso all’azione di una sola forza. I fenomeni che sorgono non possono più essere riuniti in nuove sintesi, non sono più raccolti a formare a ogni istante della vita la coscienza personale dell’individuo…” (Janet, 1889, 494-5).

 

Le personalità multiple e il soggetto plurale.

Comincierei introducendo il concetto di "doppie personalità" o "Personalità Multiple" per cui Janet è particolarmente noto ed è stato studiato. Ciò, in questi anni, è accaduto soprattutto per merito degli approcci cognitivisti molto interessati alle patologie post-traumatiche e all'elemento del "trauma" come obiettivo centrale della posizione terapeutica. Un interesse che ha prodotto molte riflessioni rispetto ai concetti di Dissociazione, e conseguentemente di patologia post-traumatica, mentre la riflessione psicoanalitica -forse scontando l'antico fantasma delle origini di questi concetti legati alla conflittualità Freud-Janet - ha per lungo tempo ribadito posizioni che vedono la dissociazione come preliminare alla rimozione o al massimo, nella dimensione di dissociazione cosiddetta verticale, soprattutto ai disturbi border. Vediamo Janet: “vi è un arresto, una sospensione della normale coscienza personale, una modificazione di questa tensione particolare che noi consideriamo come la veglia e che sarebbe in equilibrio instabile e, al tempo stesso, un richiamo, un’attivazione di altre tendenze elementari la cui attivazione va a rimpiazzare quelle soppresse. Alcune volte si tratta di un’altra via, un altro carattere o una differente memoria che viene evocata al posto di quella ordinaria” (Janet, 1923, 70).

Per Janet, ciò che governa le dinamiche degli elementi non trasformati in Percezioni è l'automatismo, sia generale che parziale, che sfugge completamente alle funzioni del Me e dell'Io. Ciò che interessa di questa dinamica è l'immagine che colgo da Janet di infiniti elementi potenziali, che si realizzano nell'intersezione tra soggetto e realtà, ma che non potendo essere sufficientemente integrati, rimangono ai margini della nostra esperienza in attesa di poter essere saturati: per me è l'elemento creativo ed interessante del mio lavoro analitico con i pazienti. Sicuramente un analista si trova a pensare agli elementi beta di Bion, o, come nella visione del “cubo” di cui parla Bion (1961, 94), “…vedere sia il diritto che il rovescio di ogni situazione”. Ritengo ciò sia corretto, ma, come in altre posizioni, l'accento che Janet pone è soprattutto sulle sollecitazioni esterne che pongono in una posizione di urgenza la personalità del soggetto sempre tesa fra la restaurazione e la soluzione creativa e tale sollecitazione per Janet non viene dal passato o dal conflitto, ma dalla necessità di "adattamento[2]" alla continua realtà presente perché "il passato non è che un’idea; il presente è ideo-motore" (Janet, 1903, 222).

In realtà, e questo a mio parere è interessante, non è che la capacità di sintesi Sensazione-->Percezione sia tutto o niente. Si tratta di un processo comunque attivo, che può funzionare a differenti livelli. Infatti: “si deve necessariamente supporre che le sensazioni rimaste fuori dalla percezione normale si siano a loro volta sintetizzate in una seconda percezione” (Janet, 1889, 328). Questi stati paralleli hanno la caratteristica di essere sensazioni comunque sintetizzate in una personalità o coscienza parallela, ma sono “composti probabilmente dalle immagini tattili e muscolari di cui il soggetto non si serve mai…” (id., 328). In tal caso, ciò che, con Bromberg, Mitchell, Fogel, Levenson possiamo chiamare configurazioni multiple del Sé sono quegli stati del Sé che si sentono nello sfondo e che il soggetto non usa mai direttamente, ma a cui può attingere per curare creativamente il proprio adattamento alla realtà. Si tratta di dimensioni implicite piuttosto potenziali, prima che reali. Sono configurazioni del Sé che riguardano molto il concetto di Bromberg delle “dissociazioni creative", ovvero poter fare esperienza di nuovi stati affettivi attraverso l'identificazione o l'imitazione o quando "...la mente seleziona la configurazione di stati del Sé in assoluto più adattiva in un dato momento senza compromettere la sicurezza affettiva" (Bromberg, 2006, 4). In Janet la dissociazione creativa permette lo sviluppo di configurazioni solo potenziali che vengono ad emergere: “c’è una personalità secondaria, un secondary self … Senza dubbio questo secondary self è inizialmente molto rudimentale e non può assolutamente essere paragonato a un normal self, ma si svilupperà in maniera altamente inverosimile…” (Janet, 1889, 328). Tale sinergia tra diversi stati del Sé realizza cambiamenti che comunque non comportano il mantenimento di una continuità dell’Io che pure si dispone al cambiamento: “… le variazioni successive della personalità, i ricordi il carattere che formano la personalità possono cambiare senza alterare l’idea dell’io che resta una ed unica in tutti i diversi momenti dell’esistenza. Dovremo… considerare l’idea stessa dell’unità personale come un’apparenza che può subire delle modificazioni” (id., 335).

Janet rintraccia nei deliri isterici o epilettici forme isolate e transitorie di esistenza: “questi elementi psichici isolati che qui, come gli atomi di Epicuro, si sono incontrati per formare una personalità, non sono riusciti a formare una personalità in grado di svilupparsi” (Janet, 1889, 137). Ma, quando questi “atomi intellettuali” o “elementi psichici isolati” (id., 137)[3] riescono a trovare una propria coerenza stabile, si forma una nuova vita psicologica parallela. Le personalità parallele sono autonome per se stesse e possono acquisire educazione, conoscenze e carattere (id., 143). Il movimento complesso e creativo in cui concorrono queste micro configurazioni di esperienza Janet le presenta secondo una interessante immagine di una caotica assemblea: “In un’assemblea deliberante, voi proponete una legge, una risoluzione. La proponete davanti a personaggi che rappresentano altri interessi dai vostri, altri paesi, altri comuni, desideri. Ciascuno di questi personaggi, propone immediatamente le proprie opinioni, ovvero il proprio desiderio; essi cercano una sintesi. Nella riflessione, noi riuniamo in noi stessi un’assemblea deliberante” (Janet, 1929, 415).

La terapia, in questo caso, prima che proporre le modalità dell’oggetto di nascondersi, o del soggetto, di tenerlo fisso, si occupa di riattivare, nel Processo Dissociativo, le infinite configurazioni dell’oggetto in modo che si prestino all’uso più articolato e vario che se ne possa fare. Per Janet, "se emerge un conflitto è il frutto dell’inizio di una capacità di sintesi, che mette a confronto gruppi psichici separati e contrastanti di una stessa persona” (Carnaroli, 2012, 34). E’ una tesi ripresa poi da Bromberg: per il quale nel corso dell’analisi si ha una progressiva “transizione dalla dissociazione alla capacità di conflitto” (2006, 72). In tal caso di tratta di scoprire configurazioni nuove e nuove recompositionnes réversibles dalla désagrégation (Thoret, Giraud, Ducerf, 1999) che l’esperienza patologica può organizzare nell’oggetto perché, difensivamente, rimanga sempre lo stesso.

Caso 2. Roberta. Ripetizioni imperfette (configurazioni multiple del Sé).

Il Me e L'Io

Il concetto di Io per Janet si propone come molto differente da quello freudiano rispetto al quale sembrerebbe piuttosto riferirsi al concetto psicoanalitico di Sé. Ma il problema non è questo. Ho interesse a suggerire, anche in questo caso, la coesistenza simultanea[4] della necessità di una capacità direttiva dell'Io insieme ad una continua tensione all'evoluzione dell'Io stesso, ovvero un dispositivo visto simultaneamente come unitario e come sistema. Per Freud l'Io è "sua maestà!" (Freud, 1907, 380), una entità tesa continuamente a governare il destino delle proprie pulsioni tentando il più possibile di insinuarle nella realtà e collocarle nella propria sfera narcisistica. Per Janet, l'io è "un progetto" continuamente insaturo che si arricchisce della propria esperienza con la realtà: "l'Io non più come un essere e una causa, ma come una certa idea che accompagna la maggior parte dei fenomeni psicologici... “l’io è al tempo stesso serie e gruppo; è una serie di gruppi" (Janet, 1889, 58; 207).

L'Io è il sensore di una serie di esperienze che il soggetto sperimenta e che hanno una dinamica automatica (esclusa per definizione dal controllo dell'Io). Il momento in cui l'Io nasce è quando la realtà, nel felice fallimento della ripetizione automatica, introduce un elemento nuovo, insolito ed imprevisto. A questo punto, l’Io si definisce attraverso la capacità di sintesi che, interiorizzando il codice della realtà attraverso la fonction du réel[5], trasforma le sensazioni in percezioni. Abbiamo visto che la sospensione a vari livelli di intensità di tale capacità di sintesi S->P, lascia un ampia riserva di elementi sensoriali non sintetizzati come percezioni che, organizzandosi come personalità parallele, restano nella disponibilità del soggetto perché, in fortunate contingenze con la realtà, possano accedere alla trasformazione S->P. In un certo senso, l’Io si trova al terminale del processo di sintesi/percezione; “l’operazione di sintesi sembra poter scegliere e ricollegare all’Io, e per conseguenza alla coscienza personale…” (Janet, 1889, 320). Infatti, per fortuna, il soggetto non è perfetto e, quindi, non ripeterà mai la sequenza delle associazioni in modo impeccabile, introducendo quote di deviazioni o errori. Gli errori sono la caratteristica della soggettività piuttosto che dell’automatismo[6]. L'Io per Janet è sempre uno spettatore del corpo attivo nel mondo: “il passato non è che un’idea; il presente è ideo-motore…. La coscienza che assumiamo dei movimenti effettivi attraverso i quali il nostro organismo risponde naturalmente alle sollecitazioni” (Janet, 1903, 222).

Voglio sottolineare come l’io per Janet si avvicini molto alla dimensione di partecipazione intersoggettiva che sostiene sempre più la psicoanalisi attuale, dove l’analista porta la sua soggettività come contributo alla definizione originale dell’incontro prima che come decodificazione: “l’io non più come un essere e una causa, ma come una certa idea che accompagna la maggior parte dei fenomeni psicologici… L’idea dell’Io, in effetti, è un fenomeno molto complicato che comprende i ricordi delle azioni passate, la nozione della nostra situazione, dei nostri poteri, del nostro corpo, del nostro stesso nome che, riunendo tutte queste idee separate, svolge un gran ruolo nella conoscenza della personalità. Se si considera una sensazione semplice, tale sensazione non contiene nulla di tutto questo e di per sé non basta a formare un’idea tanto complessa”(Janet, 1889, 58).

A differenza di quanto propone la psicoanalisi l'Io nelle tesi di Janet è l'evoluzione del Me[7]. Sia per l'Io che per il Me, ritengo che, ancora una volta non si tratti di opposizione con le tesi psicoanalitiche classiche, ma di continuità legate da un processo. C'è da precisare che per Freud come per Janet, l'Io è una evoluzione del corpo. Per il primo "...è soprattutto un'entità corporea, non soltanto una entità superficiale, ma anche la proiezione di una superficie" (Freud, 1922, 488); per il secondo si tratta di evoluzione di funzioni somatiche di relazione e di integrazione con la realtà esterna[8]. Rimane sempre il corpo alla base della organizzazione psichica e della sua evoluzione gerarchica organizzata sulla complessità crescente. Vygotskij (1931) proporrà la “legge di Janet”, dove le relazioni fra le funzioni psichiche superiori sono state un tempo relazioni fra persone (Carnaroli, 2012).

Janet suggerisce una progressione gerarchica: azione, condotta, parola, pensiero, riflessività (id., 414); la fase riflessiva del Moi è l'Io. ed è il contesto esterno che impone questo cambiamento nel soggetto che nell'evoluzione dal Me all'Io si assume una alta responsabilità soggettiva. Il punto interessante, a mio parere è che l'Io viene ad essere rappresentato come la dimensione in cui il soggetto si appropria della responsabilità agente e che tale posizione sia una sollecitazione relazionale: è la società che impone al soggetto di definirsi e di assumersi la responsabilità di ciò che fa e di ciò che è. La società ne ha bisogno per relazionarsi col soggetto e, pertanto, è una esigenza del contesto con cui il soggetto stabilisce rapporti, prima che essere un dispositivo necessario al soggetto (id. 425).

Caso 3. Luigi. Dissociazioni creative.

alcune considerazioni conclusive

Negli anni ’50 la psicoanalisi indaga progressivamente nuove dimensioni dell'apparato psichico e in questa linea il concetto del Sé assume una dimensione di sempre maggiore tensione verso il riconoscimento attivo della realtà e della comunità nella strutturazione non più solo del disagio (Freud, 1930), ma della tensione ad una maggior pienezza del soggetto. Pertanto, usando Janet, ho provato ad indagare il processo psicoanalitico non solo strutturato sulla fondamentale organizzazione delle difese[9], ma, insieme, organizzato anche sul sostegno alle potenzialità inespresse del soggetto e in questa seconda accezione di come il campo relazionale possa continuamente coglierne e selezionarne alcune delle infinite potenzialità. Nella mia esperienza, ciò che mi ha sempre appassionato e motivato dell’approccio psicoanalitico è la fede (psicoanalitica), prima che nell’inconscio, nella estrema complessità del soggetto. Confesso che non trovo nei testi di Janet alcun interesse per la dimensione relazionale riferita alla relazione intersoggettiva se si esclude la “relazione sonnambulica”: il terapeuta non è mai un soggetto coinvolto e si mantiene costantemente nella posizione di osservatore di ciò che accade nel campo di incontro tra il soggetto e l'ambiente. Trovo, comunque, che la posizione di Janet, sia estremamente positiva e di estrema fiducia nelle potenzialità del soggetto che, di fronte alla dimensione di realtà che lo convoca continuamente, parte dai propri limiti: “somiglia a un re troppo debole, la maggioranza dei cui sudditi è in perpetua rivolta ed egli è felice di incontrare una persona capace di dare ordini ai rivoltosi” (Janet, 1904, 56). A me piace vedere il soggetto come “un Re debole”. Soprattutto con i pazienti più gravi, mi piace e mi è utile l’immagine del Re, anche se da analista trovo difficile che la soluzione sia la sostituzione della sua debolezza con un potere ipnotico. Assumo con piacere la prima parte dei suggerimenti di fondo di Janet e, per quelle che sono le sue soluzioni, mi rivolgo ad un ampliamento della sua proposta cogliendola nel senso e nel suggerimento relazionale e intersoggettivo. Di Janet mi interessa la fiducia di base che egli nutre verso i soggetti e, sembrerebbe contraddittorio, verso le sue potenzialità: “il malato rassicurato, consolato, dispone meglio, per qualche tempo, del suo debole potere di sintesi… Gli elementi, i centri, che sono stati associati, continuano a funzionare insieme e non si intorpidiscono più così presto perché non sono più isolati. D’altra parte il malato porta con sé un viatico, è il ricordo della persona che l’ha confortato” (Id., 56).

"Se non ci riconosciamo è perché siamo cambiati"

(Janet, 1889,133)

Lavoro presentato al Centro di Psicoanalisi Romano il 16 ottobre 2015

Opere di Janet citate nel testo:

(1889) - L'automatisme Psychologique, ed. it. Cortina. 2013, Milano.

(1892) - L'etat mentale des hysteriques, in in Lalli N. (a cura di) La passione sonnambulica,                Liguori Napoli, 1996;

(1892) - Les obsessions et la psychasténie, in Lalli N. (a cura di) La passione sonnambulica,                Liguori Napoli, 1996;

(1898) - Nevrose et idee fixe, in Lalli N. (a cura di) La passione sonnambulica, Liguori                           Napoli, 1996;

(1913) - La psychanalyse de Freud, ed it. Bollati Boringhieri, 2014.

(1923) - La médecine psychologique, Flammarion Paris (nuova ed. 1980).

(1929) - L'évolution psychologique de la personnalié (Lecons au Collège de France 1928-29),           Chahine, Paris, 1929;

(1935) - Le débuts de l'intelligence, Flammarion, Paris.



1 Nella linea di Bromberg, il Processo Dissociativo coincide sostanzialmente con la Capacità di Sintesi. Quì mi limito solo a citare la differenza che Bromberg (2006, 5, anche 1998, 16 e 2011) propone fra dissociazione come processo e come struttura ("balcanizzazione" del processo), o Donnel B. Stern (2003) che suggerisce la dissociazione come "riduzione delle capacità autoriflessive del soggetto, in linea con il concetto di Janet del "restringimento del campo di coscienza".

2 Il concetto di Adattamento è centrale nelle tesi di Janet. Se ne può facilmente intuire la connotazione positiva ed attivante verso la continua organizzazione mentale. Mi dispiace che per motivi di spazio non possa occuparmi di questo concetto, di cui, però segnalo l'importanza nella teorizzazione di Janet anche nell'uso che ne fanno alcuni analisti come D. Stern, il Boston Group, e, da noi Andrea Seganti.

3 Il film Inside Out (Pete Docter, 2015), suggerisce in modo esplicito questo funzionamento articolato fra funzioni affettive che organizzano continuamente l'immenso archivio delle configurazioni elementari del Sé (micro episodi di esperienze) attraverso funzioni egoiche non unitarie, ma complesse, instabili e mobili.

4 Per quanto questa posizione della simultaneità dei differenti stati del Sé sia originale, Janet la deriva da altri autori: Ochorowicz (1887): “allo stato di veglia, malgrado l’apparente monoideismo…il nostro pensiero è sempre molto complicato; abbiamo simultaneamente una moltitudine di sensazioni che lottano tra loro e una folla di ricordi che cercano di liberarsi dalle pressioni delle idee dominanti” (Janet, 1889, 207).

5 La tensione psicologica si declina continuamente nella Fonction du réel, “l’operazione mentale più difficile, perché è quella che scompare più rapidamente e frequentemente” (Janet, 1903, 221). Si tratta di un concetto complesso, molto distante dal "principio di realtà" freudiano. Rispetto al concetto di Freud, rappresenta una capacità sintetica prima che un confronto che si declini poi in una dinamica dell'ordine conflittuale: "la fonction du réel si ritrova nella coscienza dei nostri stati interni e nella percezione della nostra stessa persona... E' la percezione della nostra unità" (id., 214-5). Si tratta piuttosto di una posizione di apprendimento complesso e continuo, da parte del soggetto, del modo di funzionare della realtà: "consiste nella presa della realtà in ogni sua forma... quell'attenzione alla vita presente di cui parla Bergson... La prima forma di tale fonction du réel è l'azione che ci permette di agire sugli oggetti esterni e di trasformare la realtà" (id., 212).

6 F. Ortu, (2013, XVIII-XIV) nella sua puntuale prefazione all'edizione italiana dell'Automatisme riporta Janet: "se un uomo fosse perfetto intorno ad una sensazione produrrebbe sempre le stesse immagini, ma mille circostanze fanno cambiare le immagini che si presentano intorno a precise sensazioni cambiando “l’orientamento del pensiero”. “Si formano allora, in virtù delle stesse leggi che abbiamo visto precedentemente, dei gruppi secondari attorno a certe immagini che sono anormali in questa mente.... attività conservatrice e creativa: la prima tende a consolidare le sintesi, mentre “i caratteri della la seconda sono l’associazione di idee e la memoria”.

7 Bromberg (1998, 10) ad esempio vedrebbe la relazione Io-Me invertita rispetto a Janet: "La dissociazione patologica... spesso preclude la capacità di contenere e riflettere sui differenti stati della mente all'interno di un'esperienza unitaria di me-ness".

8 Il pensiero è "...una condotta che è divenuta semplice... una costruzione sociale della preparazione all'azione" (Janet, 1929, 412).

9 Mi piace in questo senso lo spostamento che, in modo delicato, propone ad esempio Khout (1984) dell’accento della difesa sulla “difensività”. La mia riflessione vuole esere in questa linea, ovvero nello spostamento degli accenti evitando contrapposizioni che, inevitabilmente si allontanano poi dalla riflessione sulla complessità dei fenomeni per ridurre la riflessione all’appartenenza o meno a personaggi incaricati di rappresentare un campo enormemente complesso di pensiero.

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