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Riefolo G. - Il processo dissociativo (2012)

Il processo dissociativo

Giuseppe Riefolo

27 gennaio 2012

ho nello studio fantasmi che ascoltano il paziente

e si animano ascoltandolo” (Mitchell, 1993, 134).

Premessa.

In queste note cercherò di proporre, e documentare sul piano clinico, la dissociazione come un dispositivo dinamico strettamente connesso al dispositivo della scissione. Propongo che la dissociazione rappresenti un esito dello stato di scissione e che lo stato di scissione sia un continuo movimento di fondo del Sé in cui il Sé, considerato come un sistema di Sé multipli (Bromberg, 1998; 2006; Fogel, 2006) a seguito delle sollecitazioni dovute all’incontro con oggetti esterni (Damasio, 1994; 1998) riorganizza continuamente lo stato di scissione di fondo secondo continue soluzioni dissociative[1]. Tali soluzioni dissociative si muovono fra dissociazioni a scopo difensivo e dissociazioni di tipo creativo. Vi è un continuo movimento e ricerca di equilibrio fra le due modalità dissociative che sono quindi simultanee e vanno intese come una infinita gamma di possibilità che si colloca fra i due poli difensivo creativo.

In linea con Bromberg (1998, 2006) considero la sofferenza psicologica come una compromissione – a vari livelli di entità e di qualità – della fisiologica funzione dissociativa della mente: “per sopravvivere la nostra mente ha bisogno del funzionamento di scissione-dissociazione” (Ferro, 2010, 12). Per quanto concerne le premesse relative al tema del dispositivo della scissione in relazione alle configurazioni del Sé, rimando a precedenti lavori (Ferro, Riefolo, 2006; Boccara, Faccenda, Gaddini, Riefolo, 2011; Riefolo, 2011; 2012), mentre in questa sede concentrerò il mio interesse sul tema delle dissociazioni creative, in quanto la modalità difensiva della dissociazione è quella abbondantemente esplorata dalla psicoanalisi con il tema della rimozione e delle modalità dei vari meccanismi di difesa. Il mio interesse per le modalità creative del dispositivo della dissociazione ha delle motivazioni soprattutto di ordine clinico in quanto considero che il processo analitico si compia soprattutto attraverso la capacità dell’analista (più precisamente: dell’analista attraverso il campo analitico) di sostenere le capacità dissociative creative del paziente e ciò, nel processo terapeutico chiede all’analista di avere una posizione precisa nell’orientare la propria partecipazione soprattutto verso il sostegno della funzione dissociativa creativa piuttosto che verso l’analisi degli esiti difensivi della dissociazione (che in sostanza corrispondono ai sintomi).

Il processo dissociativo

Per “processo dissociativo” intendo tutta quella serie di fenomeni che si organizzano come movimento di fondo del Sé dovuto a rilassamento dei nessi associativi stabili e che continuamente si saturano nella linea di nuovi aggregati dissociativi sia difensivi che creativi, ovvero nell’asse DD↔DC.

 Molti autori hanno parlato esplicitamente di “processo dissociativo” collegandolo alla dimensione creativa, spesso considerata sul versante soprattutto di ordine artistico (rispetto a cui la bibliografia risulta vastissima). Accenno solo ad alcuni suggerimenti che prendono in considerazione il versante clinico e non soltanto “artistico” e che colgono la dissociazione come movimento fra polarità difensive e creative. Beres (1957, 413) ha segnalato “quanto in psicoanalisi nei processi creativi ci sia una progressione ordinata fra le varie fasi – dall’iniziale caos all’organizzazione delle fantasie o dei pensieri. Vi è piuttosto una intersezione di questi processi in ogni momento, oltre che comunicazione fra ciò che nelle varie fasi si produce”. Weismann (1958, 469) considera la “dissociazione come un meccanismo di base utilizzato dalla psiche creativa. Si tratta di un particolare dispositivo che determina una suddivisione in più parti degli elementi psichici i quali trovano una riorganizzazione determinando prodotti creativi”. Bromberg (2006) riporta le tesi di Whyte (1960) il quale propone di superare la dualità del modello conscio/inconscio attraverso l’ipotesi di un processo al posto della dualità dei campi, ovvero “un singolo campo di processi mentali (…) di cui solo certi aspetti o fasi di transizione sono accessibili all’attenzione conscia immediata” (145, cit in Bromberg, 2006, 3). Più recentemente Bromberg (2003, 560) parla di due livelli della dissociazione. Da un lato “un processo dissociativo al servizio dell’adattamento … che è un processo normale che può diventare una struttura” a difesa dagli eventi traumatici. Sul versante creativo: “propongo che questo processo sia in relazione non all’evitamento dei contatti, ma all’attivazione nell’esperienza del paziente, quì-ed-ora, di ciò che ha sentito come relazionalmente più affidabile, cercando di fare il possibile per evitarne il contatto automatico con la componente dissociativa in quanto sistema proattivo di allarme. Pertanto, come clinico, cerco di essere più possibile in sintonia (spesso senza riuscirci) con quei momenti in cui il mio paziente sperimenta la propria struttura del Sé come non stabile e solida abbastanza per incontrare l’input della mia soggettività…” . Chessick (2002) propone il processo dissociativo negli artisti come un’alternanza di stati più o meno integrati[2]. Donnel B. Stern (1997) parla di dissociazione come “distruzione (deletion) dell’immaginazione” e “l’esperienza potenziale non realizzata come fonte del “disordine creativo”. Fogel (2006, 1167) nella linea del Sé come “molteplici stati del Sé” suggerisce che “caratteristica dei sistemi viventi è che l’organizzazione e la coerenza si destabilizzino regolarmente per poi auto-organizzarsi secondo patterns che risultano al tempo stesso sia già conosciuti che nuovi”. Gedo (2000, 613) considera la dissociazione soprattutto come “talento” che può diventare occasione di “apprendimento adattativo”. Ghent (2001,25) parla di dissociazioni come “piccole continue riorganizzazioni che in natura sono creative, dove per creativo non è da intendersi solo i cambiamenti che abbiano valenza positiva… . (si tratta di ) un processo intrapsichico in cui i sistemi motivazionali sono in continua “competizione” fra loro in modo tale da avere come risultato la sopravvivenza del più capace (più forte, non necessariamente il più adattivo)”.

Penso sia da premettere come la dissociazione sia soprattutto un concetto psichiatrico a cui, in seguito, la psicoanalisi ha dato un senso dinamico soprattutto individuando con Freud una serie di modalità specifiche di dissociazione difensive che, poi corrispondono alle tipiche difese che organizzano le resistenze nel processo analitico (Ferro, Riefolo, 2006). Il concetto di dissociazione inteso in senso fisiologico e come base del funzionamento della mente risulta piuttosto analizzato e ribadito da numerosi autori: da Bion che, sul piano di una differente gravità strutturale distingueva fra scissione e dissociazione (1967, 109-10) e fra splitting patologico e non-patologico (Bion, 1974, 87); a Winnicott che parlava di dissociazione come di “un tipo di scissione piuttosto sofisticata in cui l’intera personalità non si rompe (split)” (Winnicott, 1961), fino a Green (1990, 106-8) e recentemente a Bromberg (1998, 2006).

Proporre una rappresentazione della dinamica mentale come di un continuo equilibrio fra elementi esterni della realtà che sollecitano continuamente nuovi assetti del Sé capaci di acquisire elementi esterni ed estranei al Sé è prima di tutto un approccio ai fenomeni psichici in cui tutto è continuamente dinamico ed instabile; il Sé è continuamente mosso e scosso dal suo contatto con l’esperienza esterna. Si tratta di una dinamica di continua ricerca di equilibrio tra la struttura del Sé e il cambiamenti continui a cui il Sé è obbligato per mantenere un contatto con la propria esperienza di Sé[3]. Le basi su cui si fonda questa concezione della mente è la plasticità cerebrale e lo stato di coscienza come continuamente instabile in cui il corpo viene senza sosta modificato dal suo incontro con oggetti esterni (Damasio). Propongo che la dissociazione sia soprattutto un processo in cui, simultaneamente (Janet), la mente si espone alle nuove sollecitazioni della realtà, proponendo soluzioni già acquisite e creandone di nuove. Se siamo chiamati a ricordare una sequenza di numeri, automaticamente la dissociamo in tante piccole sequenze e questa è la soluzione difensiva e creativa al tempo stesso per poter ricordare più numeri possibile. Tutti i meccanismi di difesa nevrotici rappresentano l’utilizzazione della dissociazione al servizio dell’evitamento di esperienze traumatiche. Ma ciò è perché sin dall’inizio la dissociazione si colloca nella organizzazione mentale come felice soluzione adattativa della mente (Seganti, 2009). Il funzionamento mentale – nel momento di incontro con la realtà esterna – si fonda sul dispositivo dissociativo che ci permette da un lato di cogliere la realtà secondo vertici particolari e parziali e dall’altra ci permette di incontrare la realtà sempre come nuova e sconosciuta. In questa linea la terapia si sostiene sul processo in cui “uno stato dissociato del Sé del paziente contenente un’altra realtà… può allora iniziare ad acquisire una voce” (Bromberg, 1998, 225).

Proporre una riflessione psicoanalitica sul tema della dissociazione creativa, significa utilizzare alcune tesi della dinamica psicopatologica, in questo caso di Charcot, Janet e Freud in senso positivo in cui ci si interroga sul fisiologico funzionamento mentale e su come il trattamento analitico è chiamato a sostenerlo, piuttosto che di occuparsi solo della fisiopatologia che considera la cura come una ricomposizione delle dinamiche patologiche. Freud, attraverso l’analisi dell’isteria e dei sogni, si spinge alla ricerca di idee, desideri, convinzioni, atteggiamenti ed aspettative inconsce perché il trauma le ha rese rimosse dalla coscienza. Nello stesso periodo, Janet si occupa delle funzioni o dei sistemi dissociati che racchiudono al loro interno sensazioni, atti, paure e idee – centri di attenzione separati, organizzati - che controllano la personalità o determinano conversioni somatiche: “I fenomeni psicologici che si formano nel cervello non si riuniscono in un’unica rappresentazione (perception personelle): una parte rimane indipendente sotto forma di sensazioni o di immagini elementari, può aggregarsi più o meno completamente e tende a formare un nuovo sistema, una personalità indipendente dalla prima” (Janet, 1911, 418). Per Janet, come racconta lo stesso Freud (1923, 440), nell’isteria non vi sarebbe la rimozione di esperienza ma la regressione a livelli di funzionamento capaci di evitare la presentazione affettiva connessa all’esperienza traumatica. L’abasia di Elisabeth (Freud, Breuer, 1892-95), per Janet, quindi, non sarebbe legata alle esperienze traumatiche di conflittualità edipiche (esperienza col ragazzo e poi cognato), quanto alla riorganizzazione della personalità a livelli in cui quella configurazione edipica traumatica possa essere vissuta in modo esplicito o possa non presentarsi. Sia Freud che Janet concorderebbero sul significato dell’abasia (“non posso camminare, quindi non corro pericolo!”), ma Freud ritiene si tratti di una configurazione che bisogna spiegare, riportare, restituire alla coscienza, mentre Janet la considera uno degli aspetti di un livello di funzionamento mentale che esclude il conflitto e che tratta gli elementi affettivi, fra loro, nello stesso modo. Per Janet si tratta di una zona di configurazioni del Sé che rispondono in un particolare modo agli stimoli esterni. Tutti noi concordiamo sicuramente con l’ipotesi che la sofferenza di Elisabeth possa essere spiegata attraverso il conflitto rimosso, poi rintracciabile nel sintomo e che tale conflitto attraversi, a vari livelli, le tre iniziali istanze psichiche. In questo caso il suggerimento che verrebbe da Janet sarebbe di considerare la possibilità di un altro funzionamento parallelo, autonomo dal primo e con una propria logica interna, che emerge, fino, in questo caso, a diventare la personalità prevalente. Il passaggio fra l’una e l’altra personalità Janet la realizzerebbe attraverso l’ipnosi che, nel caso di Elisabeth, molto probabilmente, sarebbe in grado di permetterle di risolvere il problema motorio[4]. Nel caso ponessimo le posizioni di Freud e Janet come opposte le une alle altre (come realmente è poi accaduto a cominciare dal Freud del Meccanismo degli attacchi isterici, 1893, fino agli Studi[5]), non vi è dubbio che le posizioni di Freud risultino più articolate e capaci anche di inglobare in parte le stesse posizioni di Janet (infatti la personalità seconda di Janet, dal punto di vista di Freud non viene negata, ma viene considerata un esito della rimozione del conflitto), mentre non vale il contrario. La contrapposizione, però farebbe perdere un senso complesso che emergerebbe invece dal considerare le due posizioni come polarità di uno stesso processo. Nella posizione di Janet, potremmo cogliere il suggerimento di considerare la possibilità di un diverso funzionamento di Elisabeth che la paziente non ha mai potuto sperimentare per le sollecitazioni sia interne che del contesto esterno, ovvero una dimensione del Sé fragile che può avere un proprio funzionamento nel momento in cui le configurazioni di Sé fragile potessero trovare uno spazio dove essere accolte. Al tempo stesso le sollecitazioni rappresentate dall’esistenza del ragazzo/cognato, rappresentano un polo di tensione inevitabile rispetto a cui Elisabeth non può evitare di cimentarsi. Se ci si pone nella dimensione di sostenere l’una o l’altra posizione inevitabilmente ci si troverà o nella posizione dell’analisi delle resistenze (ipotesi del conflitto) o nella posizione simmetrica di un funzionamento regredito (ipotesi del deficit). Ciò che chiamo “processo dissociativo” vuole essere il suggerimento di muoversi continuamente sull’asse organizzato fra due polarità: da un lato le operazioni difensive realizzate attraverso la dissociazione e la rimozione di esperienze sentite conflittuali, dall’altro la presentazione di livelli di funzionamento regrediti organizzati su esperienze di fragilità del Sé[6]. Il continuo dialogo fra paziente e analista permette di riorganizzare continuamente sia il polo difensivo che il polo propositivo. Il processo dissociativo lo descrivo come DD↔DC.

Nel recente film “Le donne del sesto piano” (Le Guay 2011) il protagonista Jean-Louis consulente finanziario, conduce la sua vita, dalle abitudini piatte e ripetitive vivendo con la moglie Suzanne in un vecchio palazzo borghese. Le situazioni critiche della vita di Jean-Louis possono solo risolversi nella ripetuta negazione del conflitto: “scusa Suzanne, non ho più camice! Come vado in ufficio?”; “Metti un maglione!”. Quando però la vecchia governante Germaine, dopo 20 anni, si licenzia per divergenze con Su zanne, viene assunta Maria, che con altre governanti, in condizioni molto precarie vive nella soffitta al sesto piano di quello stesso palazzo. Attraverso Maria, Jean-Louis conosce una realtà, regredita, ma nuova che gli era sempre stata prossima, ma sconosciuta: “vivono in una stanza stretta, senza bagno e senza acqua calda… Sono sopra la nostra testa e noi non ne sappiamo nulla!”, fino a trovare egli stesso una piccola stanza dove trasferirsi: “posso stare qui con voi?” ; “ma questa e casa sua! è lei il padrone!”; “Ah… sì è vero, sono io il padrone!… è la prima volta che mi sento a casa mia!”.

Questo film fa riflettere sul doppio registro del primo e del sesto piano. E’ necessario che si crei uno spazio critico al primo piano perché si possa conoscere un funzionamento fino ad allora sconosciuto e solo potenziale che sperimentiamo transitoriamente e che ci permetta di riorganizzare la vita del primo piano in un dialogo DD↔DC. Voglio suggerire che la scoperta del sesto piano è nella linea di un funzionamento regredito sconosciuto piuttosto che di un piano rimosso.

Scissione, désagrégation e stati ipnoidi.

Un concetto che porrei come premessa al processo dissociativo, è quello che la clinica psichiatrica pre-psicoanalitica che si occupava di isteria, fino a Janet, Breuer e Freud, descriveva come “stati ipnoidi”. Suggerisco di cogliere la regressione che si realizza nella situazione analitica come dispositivo capace di sollecitare “stati ipnoidi della mente” che, permettono l’emergenza di stati plurimi del Sé dissociati (Bromberg, 1998) i quali, nella linea che stiamo seguendo, sono configurazioni traumaticamente bloccate, o configurazioni sospese nelle loro potenzialità di realizzarsi. Sul piano funzionale e non patologico, possiamo rappresentare lo stato ipnoide come lo stato di sospensione del Sé, altamente sensibile a nuove e continue soluzioni riaggregative delle configurazioni elementari del Sé che permettono nuove espressioni del Sé, non governate dal paziente, ma espresse dal campo analitico[7].

Per Janet (1894, 308) lo stato ipnoide sarebbe uno stato, preliminare alla organizzazione della sintomatologia isterica, dovuto a faiblesse de la synthése psychique e riduzione della fonction du reél, altamente instabile, dovuto al dispositivo che in varie occasioni definisce come désagrégation. Janet ne parla soprattutto nel 1887[8]: il soggetto risulterebbe incapace di sintetizzare sensazioni che non riuscirebbero quindi a diventare percezioni (P) e si organizzerebbero in maniera automatica in sistemi di personalità paralleli, secondo una propria logica interna[9]. Janet chiama questa situazione di riduzione percettiva: disaggregazione, scissione, dissociazione, ma soprattutto divisione o sdoppiamento della personalità (Janet, 1894, 19). La disaggregazione sarebbe preliminare e di base all’isteria, ma anche alle patologie psicologiche in genere. Sottolineo come il concetto di désagrégation di Janet corrisponda sostanzialmente a quello di Spaltung (scissione, splitting, clivage) di Bleuler (1911) (Kapsambelis, 2008), che lo utilizza come dispositivo centrale, insieme all’autismo, per la definizione delle Schizofrenie: “la Spaltung è la condizione preliminare della maggior parte delle complesse manifestazioni della malattia schizofrenica. Le conferisce la sua particolare impronta. Dietro la scissione sistematica in determinati complessi ideativi, abbiamo trovato un rilassamento primitivo della struttura delle associazioni, che può portare ad una frammentazione irregolare di strutture resistenti, come quelle dei concetti concreti” (Bleuler, 1911, 270, il corsivo è mio).

Freud all’inizio della sua collaborazione con Breuer accetta di considerare gli stati ipnoidi come sintomi (1893, 100 e n.) e come “base e condizione dell’isteria” (id., 122) o “condizione psichica particolare”, preliminare alla formazione dei sintomi isterici (Freud, 1896, 336). Gli stati ipnoidi per Janet e Breuer erano degli stati di coscienza – riferibili soprattutto all’isteria - particolarmente esposti alla scissione: “…la nostra convinzione che quella scissione (Spaltung/splitting) della coscienza così sorprendente nei noti casi classici di double conscience, esiste in uno stato rudimentale in ogni isteria e che la tendenza a tale dissociazione (Dissoziation/dissociation) e quindi al manifestarsi di stati anormali della coscienza, che chiameremo congiuntamente “ipnoidi”, è il fenomeno basilare di tale nevrosi” (id.,182-3)[10]. Freud accetterà solo inizialmente il concetto di Stati ipnoidi soprattutto perché proposti da Breuer, ma dopo gli Studi, sostanzialmente non se ne occuperà più[11], mentre essi rimangono centrali in tutta la teorizzazione di Janet dei fenomeni psicopatologici soprattutto isterici. Gli stati ipnoidi sono una condizione in cui, sul piano patologico, la coscienza del soggetto è molto esposta alla suggestione, potendo essere modificata dal potere di un evento o di soggetto esterno, incapace, al tempo stesso di relazionarsi con un campo di realtà ampia. L’evoluzione della tecnica dell’ipnosi da Breuer a Freud[12], ovvero da Anna O. ad Elisabeth, è ben nota e concerne sostanzialmente il passaggio dalla tecnica dell’ipnosi all’uso di uno stato regredito ipnoide attraverso cui contattare il livello di funzionamento dei sintomi isterici: “la prima analisi completa da me intrapresa. svuotamento strato per strato… dissotterrare una città sepolta… (la paziente) era consapevole: potevo rinunciare subito all’ipnosi” (Freud, 1892-95, 293). La posizione di regressione “ipnoide” riguarda allo stesso tempo anche l’analista nella stanza di analisi il quale, per partecipare alla storia del paziente, dovrà permettersi condizioni di distrazione, di “attenzione fluttuante” o di rêverie; infatti: “l’assetto mentale dell’analista dovrebbe essere sempre e solo stabile? Sicuramente no” (Ferro, 2002, 12).

La stanza di analisi sollecita livelli di regressione in cui viene ad essere sospesa, a varie intensità, la coesione dei plurimi stati del Sé del paziente e dell’analista che sono esposti ad uno stato di “scissione” transitoria in cui si riorganizzano nuove configurazioni del Sé. Suggerisco la dimensione dello stato ipnoide come disposizione del Sé a permettersi funzionali e transitori stati di scissione (che Janet definisce di désagrégation) che tendono a ricomporsi secondo quelli che Janet definiva come nuova ed originale “recomposition réversible” degli elementi scissi. Gli elementi che lo stato ipnoide contribuisce a sospendere in una scissione transitoria possono ricomporsi o attraverso la “rimozione”[13] o attraverso una nuova “recomposition réversible”.  

Nel film “Ci sarà la neve a Natale?” (Veysset,1997), la protagonista, disperata, apre il gas nella stanza in cui dorme con i sette figli. Il clima cupo si apre improvvisamente quando, nel malessere, si solleva dal letto e dalla finestra scopre che sta nevicando.

La neve, in questo caso, è contemporaneamente l’esito della ricomposizione di configurazioni rimosse (una bambina che può ritrovare un genitore perso), e l’emergenza di un livello di funzionamento regredito e vivo (la donna grassa del sogno che precede la scena). Gli stati ipnoidi di Janet permettevano al soggetto di sperimentare realmente l’esistenza di altre personalità – spesso nettamente in contrasto con la personalità prima del soggetto - seppure per brevi fasi transitorie[14].

Come rileva anche Loewald (1955, 201-2) il concetto di Stati Ipnoidi non piace molto a Freud poiché introduce il tema dello stato di debolezza psichica in cui accadono le esperienze traumatiche. Freud è orientato a considerare che le esperienze traumatiche siano tali per il conflitto tra conscio e inconscio, mentre gli stati ipnoidi sottolineano una condizione di particolare vulnerabilità del soggetto e mettono in secondo piano le caratteristiche del conflitto inconscio che l’esperienza attiva. Il passaggio è dagli stati ipnoidi all’etiologia sessuale dell’isteria che risponde meglio al tema del conflitto inconscio: “nella descrizione degli stati ipnoidi possiamo ora riconoscere non tanto una “condizione mentale patologica”, quanto, sul piano genetico la “condizione mentale “ della prima infanzia o, come potremmo dire oggi, un equivalente regressivo di uno stato primario dell’Io” (Loewald, 1055, 206). Bromberg (1991, 416) sottolinea la funzione protettiva della regressione terapeutica per la stabilità dell’Io: “uno degli aspetti importanti della situazione analitica è la creazione di un contesto relazionale che permetta, piuttosto che indurre, la regressione terapeutica. Tale contesto autorizza il soggetto a proteggere in parte la stabilità dell’Io nel senso che si sente sufficientemente capace di incontrare l’analista”

Il fatto è che lo stato ipnoide sia discusso – da Janet, Freud e Breuer – come uno stato patologico in relazione alla organizzazione dei quadri isterici – sia della grande che della piccola isteria. In questa linea, come sappiamo, ben presto Freud si distaccherà dalle tesi di Janet e di Breuer proponendo la dissociazione difensiva (sostenuta soprattutto dal dispositivo della rimozione) come elemento genetico ed attivo dei quadri isterici, se non dell’intera patologia psicopatologica. A Bleuler come a Janet e Freud interessava l’ambito psicopatologico del dispositivo della scissione, ma la stessa descrizione di Bleuler si presta bene a rappresentare lo stato regressivo di alta instabilità del Sé, fertile verso nuovi cambiamenti o verso riorganizzazioni difensive. Per Freud la primitiva impotenza non rappresenta per se stessa il trauma, ma lo diventa nel momento in cui quella esperienza che il primitivo Ego immaturo del bambino non era stato capace di accogliere, ora viene a ripetersi e l’Ego adulto – ora competente a quella esperienza – non è in grado di realizzarla in quanto coinvolto in un conflitto con il super-Io[15]. Loewald (1955,206) propone lo “stato ipnoide” come un primitivo e regredito stato dell’Io: “se è corretto riconoscere lo “stato ipnoide” come una versione mascherata di ciò che la psicoanalisi ha rappresentato come un primitivo stato dell’Io, non si tratta di porre l’isteria da difesa contro l’isteria ipnoide, ma che, sia la rimozione che lo stato ipnoide, sono dispositivi essenziali per il meccanismo isterico ed inoltre che la rimozione non può essere pienamente compresa senza riconoscere che essa rappresenta una più integrata versione, dal versante dell’Io più maturo, di un primitiva modalità di funzionamento dell’apparato psicofisico”

la recomposition réversible e la dissociazione creativa.

“Il carattere fondamentale di questa malattia della disaggregazione sarebbe la formazione nella personalità di due gruppi di fenomeni, uno costituisce la personalità ordinaria, l’altro suscettibile di dividersi, forma una personalità anormale differente dalla prima e completamente ignorata da quella” (Janet, 1894, 367). E’ interessante che tale neoformazione si compia attraverso un processo di riaggregazione di elementi sensoriali elementari, inutilizzati dalla coscienza, nel senso che non sono stati processati dalla sintesi psichica, e che organizzano una soluzione riaggregativa nuova che si compie per l’esistenza di uno stato di “debolezza psichica” che Breuer e Freud all’inizio chiameranno, in accordo allo stesso Janet, “stato ipnoide”.

Per il concetto di “ricomposizione reversibile” Janet si fonda sugli studi sul sonnambulismo in cui l’esistenza di due personalità nettamente separate fra loro sono il prototipo della dissociazione isterica. La cosa per me interessante è che, anche in accordo a Binet (cit. in Janet, 1894, 408n), gli elementi rimossi, allontanati dalla coscienza non perdono la loro caratteristica logica, la loro costruzione interna, la coerenza, la strutturazione, le associazioni, ma si raggruppano per formare nuovi insiemi che possono costituire vissuti differenti. In questo senso, ricomposizione reversibile significa nuove riagggregazioni funzionali di configurazioni elementari che mantengono o che trovano una nuova coerenza. Infatti, nell’isteria “…i fenomeni psicologici elementari sussistono pressoché senza modificazioni,.. una parte tra loro si separa completamente dalla personalità… questi fenomeni dissociati si aggregano fra loro per formare stati psicologici distinti dalla coscienza normale. Non pensiamo che la debolezza della sintesi psicologica si manifesti così spesso al di fuori dell’isteria”(Janet, 1911, 429-30). Si tratta di una considerazione che segnala un senso quasi “chimico” del dispositivo della dissociazione: i componenti elementari mantengono la propria autonomia e a seguito di sollecitazioni esterne, si ricompongono secondo nuove affinità. Sul piano patologico, negli stati crepuscolari, e sul piano fisiologico, nei sogni e nelle situazioni creative, sappiamo che queste nuove aggregazioni sono reversibili.

Sul piano terapeutico il sogno, l’identificazione proiettiva, l’imitazione, transitorie fasi di confusione dell’analista, gli stati di sorpresa e di improvvisa curiosità, gesti spontanei e le rêverie dell’analista, possono descrivere la realizzazione creativa di disposizioni potenziali che si configurano come elementi nuovi che, all’interno dello “stato ipnoide” della regressione analitica si realizzano continuamente sull’asse DD↔DC. Propongo alcuni esempi che riporto in modo estremamente schematico per sottolineare solo il movimento fra désagrégation/scissione e successiva récomposition revérsible nel polo DC, tenendo implicito il polo DD (che non discuto)..

1.      Una paziente riporta un sogno abbastanza tipico: “sul divano – dove ha cenato il 31 dicembre con un suo caro amico a cui tiene, ma da cui viene tenuta a distanza, si sdraiava sul corpo di lui che l’abbracciava da dietro”. Associa subito che ha pensato potesse riguardare la ripresa dell’analisi. (il sogno le permette di vivere un abbraccio non più impossibile, ma solo distante);

2.      Una paziente, ex insegnante, propone un sogno (fatto la sera prima della seduta): “mia madre mi presenta un professore di matematica ed io noto che è bravo; poi riesco a prendere in mano un grillo”. Commenta che nella realtà per lei sarebbe impossibile poter prendere un grillo in mano. Pensa ad un suo ex collega, professore di matematica con cui aveva una buona intesa; in quel periodo ricorda che si curava di più nei vestiti; si truccava.. Poi ebbe paura che gli altri potessero pensare male ed evitò di incontrare il collega. Alla nipotina piccola ha raccontato la fiaba di Pinocchio; lei le ha chiesto cosa fosse una bugia e lei non è stata capace di farle neanche un esempio. (Le sottolineo che nel sogno riesce a fare cose altrimenti impensabili);

3.       Un paziente a cui la scorsa seduta ho proposto un adeguamento dell’onorario mi dice: quando me lo ha proposto sono stato preso da una certa gioia perché ho pensato che quella cosa si potesse fare e, quindi, anch’io avrei potuto farla… come se avessi imparato qualcosa di nuovo che non avrei mai immaginato. Poi, uscendo mi sono chiesto come mai lei me lo proponesse proprio ora che potrei avere delle difficoltà (le identificazioni che permettono un’esperienza potenziale);

4.      Il paziente che dimentica l’onorario a fine mese: (DD come controllo dell’analisi e DC come identificazioni che permettono un’esperienza potenziale);

5.      Una comica in TV racconta: “mio marito, precario e tirchio mi ha fatto un bellissimo regalo e mi ha detto che è ‘per tutta la vita!’. Oppure Totò che dice: “ogni limite ha una pazienza”(DC come introduzione di un diverso vertice che ne fa emergere nuovi potenzialmente già presenti);

6.      Nella stessa linea ricordo il piacere reciproco di un gioco che facevo con mia figlia piccola, mentre eravamo in seggiovia, proponendole di ripetere di continuo e velocemente la frase: “è già scuro”;

7.       Un giovane paziente racconta cheè stato all’università ed ha incontrato M.., la ex ragazza. Aveva molto temuto questa eventualità. Questa settimana è stato al mare dove contava di allenarsi per il brevetto di skipper, ma c’era cattivo tempo ed è tornato indietro. Oggi scopriva che nonostante la presenza di M., poteva stare all’università anche se ha fatto fatica. Ha pensato che prima o poi capiterà di dover incontrare un suo caro amico (che non vede da anni e con cui si sono drasticamente interrotti i rapporti) e dirgli che sta diventando skipper come lui (permettersi un funzionamento sospeso).

8.      Un collega (peraltro molto critico verso la psicoanalisi) mi confessa che dopo la scorsa supervisione ha rivisto in ospedale la paziente di cui si era parlato (una ragazza molto bella, ma fatua che, dopo un TS, si era gravemente fratturata): è rimasto confuso nel notare che la trovava imbruttita, ma molto più congrua del solito (emergenza di livelli di funzionamento paralleli)..

Il problema che ci si può porre è: perché queste nuove aggregazioni non sono definite “associazioni” invece che essere considerate all’interno del processo di dissociazione? In questo, Janet è chiaro: si tratta di “un’operazione di sintesi attiva e attuale che ricollega queste sensazioni le une alle altre…Questo fenomeno è la percezione P … e non deve essere confuso con l’associazione automatica delle idee… La percezione di cui parliamo è la sintesi nel preciso momento in cui essa si forma, nel momento in cui riunisce fenomeni nuovi in una unità in ogni istante nuova” (1894, 307, corsivo nel testo). La sintesi psichica corrisponderebbe al lavoro della dissociazione creativa ovvero un nuovo modo di ricollegare, nel caso di Janet, le sensazioni in percezioni P e nel caso del campo analitico, pittogrammi (Aulagnier, 1974; Ferro 2002) e proto-emozioni: “sotto ogni pavimento psichico, c’è sempre un magma protoemotivo da cui difendersi, ma che al tempo stesso contiene potenzialità espressive straordinarie” (Ferro, 2010, 31). La dissociazione creativa è un nuovo ordine che apre a nuove rappresentazioni della cosa, mentre la dissociazione difensiva è la riduzione dei nessi e degli elementi che rimandano alla rappresentazione della cosa. Il movimento delle libere associazioni coinciderebbe con il movimento positivo di sospensione dei nessi associativi che si realizza nello stato ipnoide o regredito della situazione analitica, mentre le DD e le DC considerano la presenza comunque determinante dell’analista che orienta le riaggregazioni funzionali. Infatti le libere associazioni – che dal lato dell’analista corrispondono all’attenzione liberamente fluttuante “onde cogliere così l’inconscio del paziente con il suo stesso inconscio” (Freud,1922, 443) - per Freud sono un dispositivo che “per via retrograda (Freud, 1899, 495) permette di aggirare la censura del preconscio e raggiungere la traccia mestica inconscia. Invece la dissociazione creativa o difensiva concerne le due polarità di esiti possibili di questo movimento. Forse è quello a cui si riferisce Freud quando propone che “il corso delle libere associazioni produce un ricco pozzo di idee” (Freud, 1922, cit in Bollas,1999, 89).

Bromberg (2006) considera la dissociazione creativa come configurazioni del Sé potenziali, conosciute e persino sperimentate attraverso l’imitazione, la specularità e l’identificazione. Diviene “patologica” quando il soggetto sente di non poter avere accesso a soluzioni di configurazioni del Sé possibili e “…la mente estende adattativamente la sua portata oltre il momento contingente, trasformando il futuro in una variante del pericolo passato” (p. 5). Leowald (1955) nella linea di ciò che Bion dopo pochi anni descriverà come Cambiamento catastrofico (1974), dopo aver ripreso il concetto di regressione come stato ipnoide della mente, suggerisce: “frequentemente osserviamo nel corso di un’analisi varie versioni della stessa antica esperienza a sempre maggiori livelli di integrazione e di insight . Spesso è evidente che attraverso un cosiddetto recupero (recovery) di un ricordo infantile, noi veniamo a confrontarci non con il richiamo di qualcosa di dimenticato, ma con un evento creativo in cui qualcosa può essere messo in parole per la prima volta. Si ha la precisa impressione che esso non sia mai stato messo in parola poiché l’esperienza originale si era realizzata ad un livello che non la rendeva disponibile alla integrazione preconscia o conscia. Pertanto, richiamo (recollection) contro ricordo (reminiscence), come usati da Freud in questo scritto (1893) non sono una re-registrazione (re-recording), ma la creazione di qualcosa di nuovo… mai esistita prima in questa forma” (209-10).

La dissociazione creativa si muove nella linea dell’espansione potenziale dell’oggetto ed è nella linea dell’aumento della complessità del suo sistema di significati e funzioni. Il sig. P. attraverso le libere associazioni (ovvero il movimento interno allo stato ipnoide della seduta) si sente in un ballo in cui fatica ad essere a tempo. Tale immagine, da un lato descrive una posizione difensiva in cui la componente conflittuale gli evita di essere a tempo, ma l’immagine del ballo è un elemento che può essere sottolineato e “dissociato” attraverso il processo analitico, evidenziando non il dato dell’essere fuori tempo (DD), ma il tentativo, lo sforzo del paziente di sintonizzarsi con l’altro. In questo caso è importante che l’oggetto stabilmente rimosso del paziente si dissoci e si ricomponga attraverso un nuovo vertice.

Il contributo dissociativo dell’analista.

L’interpretazione dell’analista ha la stessa funzione che Janet attribuisce, seppure in modo naive, alla funzione terapeutica dello psichiatra/ipnotista nelle situazioni isteriche, predominate dall’idea fissa. Il terapeuta, col paziente in ipnosi, non esaurisce il suo compito nel far rivivere, e quindi abreagire il trauma (o secondo il primo Freud, attraverso le associazioni libere e i sogni), ma interviene direttamente a “dissociare” l’idea fissa del paziente, intervenendo verso i nessi patologici che hanno permesso l’instaurarsi dell’idea fissa. Janet “…ritiene che il terapeuta debba “dissociare” gli stretti legami che legano il sintomo alla scena traumatica. Al fine di togliere a questa scena il proprio carattere patologico, Janet gioca il ruolo di un personaggio della scena al fine di consentirne una nuova versione meno patologica” (Thoret, Giraud , Ducerf, 1999, 755). In sostanza è ciò che fa Freud (1893) attivamente verso la paziente isterica che non riesce ad allattare. La dissociazione creativa è nella linea dell’intervento “dissociativo” suggerito da Janet. Ovviamente il contesto è completamente diverso e il processo, nel caso analitico, è nel/del “campo bipersonale dell’incontro” e l’intervento dell’analista è valido (e, quindi, creativo) solo nella misura in cui si organizza secondo il processo di autenticità (Neri, 2008; Boccara, Gaddini, Refolo, 2009), oppure deve essere  conviviale o simbiotico nel senso della relazione (♀♂): comunque si muove nella linea di “sensibilità ipnoide” del paziente ad accogliere la funzione, o persino l’azione dell’analista. Sottolineare al paziente che della sua immagine del sentirsi fuori tempo in un ballo l’elemento importante non è tanto la sua goffaggine quanto invece la tensione a rintracciare una sintonia con l’altro/analista, significa in sostanza intervenire in una immagine ben organizzata che nel paziente sostiene la sofferenza. Il paziente chiama la propria sofferenza “non sintonia con l’altro” e la riporta a giustificazione della propria fatica e del proprio immobilismo. L’analista, ribaltando il vertice[16] in sostanza interrompe (secondo il linguaggio di Janet: dissocia) i nessi che sostengono la rappresentazione della sofferenza nel paziente introducendo nuovi vertici e mettendo in crisi i nessi organizzati difensivamente dal paziente. La dissociazione difensiva spiega l’instaurarsi dei sintomi e giustifica i meccanismi psicopatologici soggiacenti attraverso la sospensione dei naturali e potenziali processi di complessificazione del Sé, il quale potrebbe frammentarsi, quando questi progetti venissero sentiti sovradeterminati rispetto alle competenze del Sé[17]. La dissociazione creativa apre a possibilità di nuove configurazioni del Sé attraverso la sensibilità del paziente e dell’analista di cogliere – grazie alla situazione ipnoide dell’analisi – elementi che in quel momento diventano significanti.

Un esempio un po’insolito. Una paziente dopo la seduta con la sua terapeuta le invia un SMS:

“Cara Dottoressa, l’ho pensata e la penso come sempre. Volevo contattarla subito dopo il nostro incontro. Ci siamo incrociate per strada, lei con i capelli corti e i colori del suo viso alla luce del sole, splendevano come sempre. Poi abbiamo parlato dei segni del tempo sul nostro corpo. Quando sono andata via ho pensato che doveva far crescere i capelli, possiamo anche aver bisogno degli occhiali per leggere, ma lei è giovane ed è bella, lei ha la bellezza e l’età di una giovane donna di 25 anni. Buon sabato, dottoressa. E’ grigio, ma c’è il sole.”

In questo messaggio un elemento esterno al contesto del setting, può essere colto dalla terapeuta secondo il codice del setting e quindi integrato nel processo terapeutico che, per questo, si arricchisce di nuovi elementi che fino a quel momento risultavano in parte rimossi, ma in gran parte mai sperimentati prima come felice accesso ad una dimensione di bellezza. Infatti si tratta di una giovane paziente molto intelligente e capace, ma bloccata in rigide configurazioni di rabbia ai limiti della situazione psicotica.

Infine.

La posizione della funzione dissociativa può essere un registro di fondo che organizza la posizione dell’analista nella stanza di analisi. A questo punto tutti i pazienti ci porranno questioni che riguardano continue configurazioni in cui noi possiamo leggere il movimento tra il polo della dissociazione difensiva e la dissociazione creativa. In questo senso è possibile seguire il movimento degli accadimenti del campo analitico in cui il tono del campo e la disponibilità inconscia del paziente e dell’analista autorizzano continuamente i livelli di dissociazione creativa contenuta continuamente da livelli di dissociazione difensiva.

 

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[1] Freud (1908, 381), aveva già accennato alla “…tendenza che lo scrittore moderno ha di scindere il proprio Io… in Io parziali” e nelle Lezioni del ’32 (p. 171) del dialogo tra Io soggetto e Io oggetto. Riferendosi a queste tesi Glover (1932) concepisce l’Io primitivo come polinucleare, nel senso di una serie di organizzazioni indipendenti. Gli stessi concetti di Glover vengono poi ripresi dopo alcuni anni da Abse, (1955).

[2] “la capacità di dissociazione è una caratteristica predominante di funzionamento dell'Io nel processo creativo. Così l'artista ha un Sé creativo e un Sé più convenzionale” (p. )

[3] Ricordo che per Kohut (1971, 9) “il Sé è un contenuto dell’apparato mentale, ma non è uno dei suoi componenti, non è cioè una delle istanze psichiche”

[4] Oppure la stessa paziente potrebbe evidenziarlo se, all’interno di uno stato ipnoide di base, si trovasse esposta a situazioni di ricomposizione della sua “capacità di synthése” con presentazione - più o meno alternante – della personalità prima su quella seconda.

[5] “Ritengo che Janet abbia qui elevato stati che sono solo una conseguenza … al rango di condizioni primarie dell’isteria”(Freud, 1892-95, 261).

[6] “Non c’è conoscenza senza difesa” (Freud , cit. in Correale, 2011).

[7] Nella linea di Bion, Ogden (2005, 108) parla della rêverie come “lo stato analitico della mente dell’analista”

[8] “L’anesthésie systematisée et la dissociation des phénoménes psychologiques”, 1887,, che riprende ne L’automatisme pyichologique, 1889, sua tesi di dottorato in filosofia.

[9] “… le sensazioni rimaste al di fuori della normale percezione, a loro volta si sono organizzate in una seconda percezione P’ la quale, probabilmente – bisognerà verificarlo - si compone di immagini tattili e muscolari, T’, M’ che il soggetto non usa mai avendole definitivamente abbandonate, e da una sensazione uditiva, A’, che invece il soggetto può cogliere poiché, in alcuni casi, egli può ascoltare cose che lascia sospese poiché si occupa del discorso di un’altra persona.. In questo modo si è formata una seconda esistenza psicologica..” (Janet,1894, 316-7).

[10] E’ interessante notare come nella traduzione che Janet (1911, 421) riporta di questo passo, il termine Spaltung di Freud viene tradotto in francese come division, la qual cosa suggerisce come l’attenzione di Freud fosse per il dispositivo della Spaltung/scissione in quanto meccanismo di difesa, mentre per Janet l’interesse fosse soprattutto per le condizioni psichiche di faiblesse che permettessero l’emergenza di stati secondi o multipli.

[11] Lo confessa lo stesso Freud (1923, 441).

[12] “ero sotto l’influenza del libro di Bernheim”(Freud, 1892-95, 234).

[13] Janet piuttosto che di rimozione, parla di “occultamento del ricordo traumatico” che non corrisponde esattamente alla “rimozione” poiché si realizza attraverso il passaggio di elementi disaggregati, da una personalità all’altra (cfr. Thoret, Giraud, Ducerf, 1999., 754).

[14] “questi fenomeni inconsapevoli, non sono continuamente inconsci, ma lo sono solo transitoriamente” (Janet, 1894, 309).

[15] “l’originale non accesso alla coscienza era dovuto ad un immaturo stato dell’Io, la successiva edizione di tale inaccessibilità viene ad essere sentita come un’azione dell’Io maturo che ora può fare un uso difensivo dei primitivi meccanismi” (Loewald, 1955, 206)

[16] Bion propone, per definizione, questo ribaltamento di vertice come atto creativo della posizione dell’analista verso il discorso del paziente nel famoso ‘cubo’ (Bion, 1961, 94). Il ribaltamento del vertice è sostanzialmente la funzione creativa del sogno e della rêvérie dell’analista attraverso cui si recuperano sensazioni ed immagini note per riproporle secondo nuovi vertici (Ogden, 2005.; Ferro, 2010).

[17] Cita Winnicott da Gaddini: “Il Sé è l’insieme delle competenze fisiche, psichiche ed ambientali?”

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