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Marion P. - Discussione al lavoro di Björn Salomonsson: La sessualità infantile ha qualcosa a che fare con I bambini? (2012)

Giornata di studio con Björn Salomonsson

Sabato 10 marzo 2012       

Paola Marion

Discussione al lavoro di Björn Salomonsson: La sessualità infantile ha qualcosa a che fare con I bambini?

Grazie a Björn Salomonsson  per il lavoro che ci ha presentato e che ci consente di aprire la discussione su un tema, quello della sessualità e della sessualità infantile, che se è stato meno frequentato dalla psicoanalisi degli ultimi decenni (per lo meno dalla psicoanalisi non di area francofona), sta ricevendo da alcuni anni una rinnovata attenzione. Lo testimonia anche l’ultimo Congresso IPA di Città del Messico sui  core concepts della psicoanalisi, dove la  sessualità, insieme al sogno e all’inconscio, era uno di questi. Le questioni poste dagli organizzatori del Congresso ai relatori - e il nostro ospite era tra questi - sembravano proprio rispondere all’esigenza di “fare il punto” e di “esplorare” lo stato dell’arte e la posizione degli analisti lì convocati circa le loro idee implicite o esplicite riguardo alla presenza della sessualità nella clinica e nel transfert, al suo peso e all’importanza che le viene attribuita sia come portato del paziente che come risultato della relazione di coppia.

Procederò cercando di riprendere alcuni punti della relazione di Salomonsson e proporrò alcune riflessioni a lui e ai colleghi, in modo da lasciare più spazio possibile alla discussione tra la sala e l’ospite, perché  - credo – è ciò che soprattutto interessa quanti oggi sono qui.

L’obiettivo del lavoro di Salomonsson è quello di esplorare le manifestazioni della sessualità infantile attraverso l’osservazione del bambino molto piccolo,  i suoi comportamenti e le sue reazioni all’interno della diade madre-bambino e per raggiungere questo scopo egli ritiene necessario andare alle radici del concetto di sessualità infantile. Salomonsson afferma che se Freud avesse avuto l’opportunità di esercitare la terapia madre-bambino si sarebbe rapidamente accorto di quanto lo scambio emotivo all’interno della relazione oggettuale  influenzi e determini il carattere degli impulsi, i sentimenti di impotenza e i sentimenti di natura sessuale  (p.2).  Proprio sulla natura di questo scambio si concentra la sua attenzione.

Egli porta una serie di esempi, il bambino in sala parto che cerca il capezzolo, il contatto pelle a pelle tra madre e neonato, la relazione tra una bambina di tre mesi e il terapeuta e quella ancora più complessa tra Nic e la sua mamma intorno a un problema di allattamento. Ognuno di questi esempi costituisce lo stimolo per una serie di considerazioni  intorno alla natura e alla qualità dello scambio e al quesito se in essi rintracciamo manifestazioni di ordine “sessuale”, considerando anche quanto poco questo tema sia stato oggetto di osservazione sul versante del bambino da parte degli specialisti dell’infanzia.

La linee teoriche intorno alla quale si muove il suo discorso mi pare possano essere rintracciate, soprattutto, nel lavoro di Laplanche, che egli recupera attraverso la sua esperienza con madri e bambini piccoli  e che mette a confronto  con le  ricerche e le osservazioni  sull’infanzia e con le teorie sull’attaccamento.

1) La sessualità infantile è osservabile? Una prima questione che vorrei sollevare riguarda il problema dell’ “osservabilità” di manifestazioni sessuali nei neonati, questione che ha a che fare con “la posizione del bambino nella teoria psicoanalitica” e  che Salomonsson esprime attraverso la domanda posta all’inizio del suo lavoro: in quale misura la teoria si riferisce a un bambino virtuale e ricostruito oppure a un bambino osservato e trattato clinicamente?

Cosa osserviamo quando parliamo di sessualità infantile? La sessualità infantile è osservabile? Certamente, da un certo punto di vista potremmo dire di sì.  Sappiamo bene che le manifestazioni della sessualità infantile non sono una scoperta di Freud, ed esse all’epoca in cui per es. Freud scriveva i Tre Saggi erano già ampiamente riconosciute e note. Quando Freud incomincia il suo viaggio e incontra la sessualità e la sessualità infantile, ciò che egli fa è proprio di andare oltre ciò che era già sotto gli occhi di tutti, oltre ciò che era immediatamente e direttamente osservabile. Il risultato del suo percorso non è quindi la scoperta della sessualità infantile nelle sue manifestazioni e nelle sue espressioni, ma il significato che essa acquista nello sviluppo dell’individuo, come sessualità pulsionale o allargata, per dirla con Laplanche. Il risultato è soprattutto l’elaborazione del concetto di psicosessualità, che introduce una nuova prospettiva e una differente interpretazione della sessualità e delle sue manifestazioni, di ciò, appunto, che era già sotto gli occhi di tutti.

Nella teoria psicoanalitica con sessualità intendiamo tutta una serie di attività e di eccitazioni corporee finalizzate al piacere, che vengono fatte risalire all’infanzia, e che, irriducibili all’ordine dei bisogni e soggette a rimozione, sarebbero costitutive dell’inconscio.  Con psicosessualità intendiamo, piuttosto, il lavoro di interpretazione, elaborazione e trasformazione che “la psiche deve affrontare in virtù del suo rapporto con il corpo” e che rispecchia l’articolazione dell’ordine dello psichico con l’ordine del somatico. La psicosessualità non è direttamente osservabile, come non sono osservabili l’inconscio  e il sogno. Ne possiamo inferire l’esistenza dai suoi  derivati  e ciò chiama direttamente in causa sia la rappresentazione del bambino che è dentro di noi, le sue trasformazioni, sia il nostro atteggiamento verso ciò che Salomonsson in un altro lavoro  definisce “la soggezione e il timore che nutriamo nei confronti del mondo infantile”.

Quando osserviamo, cosa stiamo davvero osservando?

Prendiamo Frida. Björn è un osservatore attento alla sua propria reazione al sorriso della neonata, l’analizza e non gli sfugge l’alone sessuale che il suo commento può sollecitare. La relazione è complessa, anche perchè ci troviamo all’interno di una situazione triangolare. C’è Frida, c’è il terapeuta, c’è la mamma. Potremmo chiederci quale sia qui il ruolo della mamma e di che natura sia il suo transfert verso l’analista, come tutto ciò interagisca nella reazione della bambina.  Tuttavia, limitandoci a seguire Salomonsson nelle sue osservazioni e nei suoi commenti, potremmo pensare che l’analista rappresenta un “ambiente” sensibile, facilitante e attento alle risposte della bambina, alla produzione di ciò che possiamo immaginare come fantasie inconsce, nel senso di rappresentazioni mentali di quanto avviene a livello somatico e a livello di sensazioni fisiche.  E’ quest’ “ambiente” che noi riusciamo a osservare, non lo scambio profondo di fantasie tra madre e bambino, in questo caso tra analista e bambina. Tra ciò che è l’idea della nostra sessualità adulta, la consapevolezza dell’analista di ciò che le sue parole possono suscitare nella neonata, e ciò che esse suscitano effettivamente o cosa effettivamente comunicano c’è un iato non facilmente colmabile, sicuramente non osservabile.

A me pare che nell’esempio di Salomonsson possiamo rintracciare 3 livelli: 1) un primo livello relativo  agli studi e alle ricerche sull’osservazione del bambino e del neonato, a partire dall’ Infant Observation e dall’Infant Research;  2) la teoria kleiniana sulla fantasia inconscia, mai citata in modo esplicito, ma che – sottotraccia – è presente quando si ipotizza la capacità di Frida  a interpretare su un livello diverso (p.4) o la “creazione nel bambino di fantasie che noi sussumiamo nel concetto di sessualità” (p.4); 3)infine, le ipotesi di Laplanche sulla teoria della seduzione generalizzata e del messaggio enigmatico. Se è corretto quanto ho colto, in questa compresenza di livelli intravedo un rischio, quello cioè di “mettere insieme” e sovrapporre  punti di vista che appartengono a logiche differenti, quella dell’osservazione da un lato che è il punto di vista dell’infant research (e a questa sembrano riferirsi alcune ricerche citate) e il punto di vista ricostruttivo o quello di un’ osservazione partecipe che è invece quello utilizzato dalla psicoanalisi, un tipo di osservazione che tende alla comprensione e  alla produzione di ipotesi e inferenze. Pensando all’ utile distinzione di Winnicott tra “profondo” e “precoce”  (sulla quale Bonaminio e Fabozzi hanno scritto un bel lavoro), noi possiamo osservare ciò che accade nell’ “ambiente”, ciò che è “precoce”, non possiamo osservare ciò che è “profondo”.

In che cosa consiste dunque  la “sessualità infantile”?

Che cosa si inscrive dentro Frida? Quale tipo di traccia lascia il livello inconscio della   comunicazione? Possiamo già parlare di “sessualità”? Mi pare che la questione ci pone di fronte a un ulteriore problema relativo alla temporalità e, specificamente, a quel particolare andamento temporale caratteristico della psicoanalisi che è la Nachtraeglichkeit,  la cui dimensione è infatti  definita dalla sessualità, dal suo valore traumatico e dal doppio tempo che la caratterizza nell’individuo umano. Proprio questo “secondo tempo” richiede che riconosciamo il lavoro di slittamento che accompagna l’interpretazione del fatto, le distorsioni e  i percorsi interni a cui esso va incontro. Non è un caso che per Laplanche quando la sessualità si manifesta, e ciò sarà solo in un tempo altro, quello della pubertà e dell’adolescenza, essa riagguanta il “sessuale infantile”, ma tra i due – egli scrive - esiste un grave problema di coerenza, di coesione, e innanzitutto di contenuto (2007, p.98). E non è un caso che gli AA. francesi,  a cui Salomonsson anche si riferisce, preferiscano utilizzare il termine “sessuale” per evitare il riferimento alle manifestazioni concrete, visibili della sessualità legate alla dimensione evolutiva. Il “sessuale” esprimerebbe quel nucleo che non evolve in senso maturativo, ma è piuttosto dell’ordine del pulsionale e soggetto a rimozione.  

2) Bisogno versus desiderio.  Queste osservazioni mi portano all’altra questione presente nel lavoro di Salomonsson e presente in molti dibattiti intorno a queste tematiche. Quale sia cioè il rapporto tra teoria dell’attaccamento e sessualità infantile.  Il neonato sulla pancia della mamma ha bisogno del capezzolo o desidera il capezzolo?  Mentre la soddisfazione del bisogno rientra nell’ambito dell’autoconservazione, così come del resto l’attaccamento che esprime il bisogno che l’essere umano ha dell’altro e la sua dipendenza dall’altro, l’esperienza di piacere o dispiacere, che accompagna la soddisfazione del bisogno, introduce uno scarto rispetto alla linea autoconservativa ed evolutiva. Questo scarto è il luogo del desiderio e di ciò che possiamo immaginare all’origine del sessuale.  Infatti, se le spinte autoconservative sono adattive e alla ricerca della soddisfazione del bisogno che ristabilisce l’equilibrio interno, la pulsione sessuale “sfrutta”  (“si appoggia”) l’oggetto del bisogno, le funzioni vitali di chi nella relazione soddisfa il bisogno, ma non si appaga, è in sé inquieta, alla ricerca dell’eccitamento e, soprattutto, non genetica.

Salomonsson si chiede: cosa ci autorizza a qualificare come “sessuale” tale tipo di piacere (p.3)? Per rispondere a questa domanda, farei un passo indietro, tornando al punto in cui l’A. scrive della necessità di andare alle radici del concetto di sessualità infantile (excavate the roots of the concept of infantile sexuality). La frase può essere intesa secondo un doppio significato. Senz’altro significa, ed è il senso più evidente, risalire alle origini del concetto nella teoria freudiana e nei successive sviluppi, come indica anche Björn per sommi capi nel suo lavoro. Ma significa anche, o almeno questo è stato l’altro senso che ho colto, “scavare” , “portare alla luce” le radici in cui affonda la concezione della sessualità infantile.

Qui si apre un problema che è sia di ordine teorico che clinico e che riguarda la genesi della pulsione sessuale o del “sessuale”.  Una prima ipotesi ha a che fare con l’assenza dell’oggetto che soddisfa il bisogno: un ricordo primitivo del piacere si aggiunge alla ricerca istintiva di cibo, scrive Salomonsson (p.3). L’oralità per Freud (1905, p.493) rappresenta l’archetipo di questo modo di  funzionare. In questo caso la sessualità infantile non nasce tanto  dall’ “appoggio”,  ma, caso mai, dalla perdita di questo appoggio e dell’ oggetto.  In questo passaggio si inserisce la divaricazione tra bisogno e desiderio. Nel secondo tempo l’esperienza iniziale e il ricordo primitivo del piacere ritornano sul bambino che, mentre succhia il pollice, possiamo speculare, lo riproduce, ma anche lo trasforma, dando così vita alla scena fantasmatica. Quanto l’oggetto “riscoperto” è propriamente l’originario o quello che all’originario si è sostituito attraverso lo spostamento autoerotico e attraverso la trasformazione dell’esperienza in fantasia e in illusione? In questo movimento la temporalità in due tempi si dilata in tutta la sua potenza e la sessualità infantile esprime anche tutta la sua carica creativa.

 Una seconda ipotesi riguarda, invece,  la natura “esogena” della sessualità infantile che origina dai messaggi inconsapevolmente inviati dall’adulto e che pongono il bambino di fronte all’enigma da tradurre. Questa concezione, sostenuta innanzitutto da Laplanche in molteplici suoi lavori, considera lo stesso emergere della pulsione e la sua specificità correlata alla asimmetria insita nella relazione adulto-bambino (1997,2005, 2006, p.37, p.93 e sgg.).  Si tratta della teoria della “seduzione generalizzata”, secondo la quale la “condizione antropologica fondamentale” dell’uomo si basa su una situazione asimmetrica, che già Freud aveva colto attraverso la sua teoria della seduzione (teoria ristretta, in quanto limitata alla psicopatologia) e che Ferenczi riprenderà nel concetto di asimmetria del linguaggio della tenerezza e della passione.  Attraverso l’accudimento e il nutrimento la sessualità della madre e dell’adulto investe il bambino, poiché –come già scriveva Freud (1905) “la madre riserva al bambino sentimenti che derivano dalla vita sessuale di lei…lo prende con evidente chiarezza come sostituto di un oggetto sessuale in piena regola”. La madre “sessualizza” l’eccitazione del bambino, come ci mostra Björn attraverso il suo commento rivolto alla piccola Frida, o con il caso di Nic e la sua mamma. Il bambino è sedotto da qualcosa che arriva da fuori di lui e che gli risulta inaccessibile. Ciò costituisce per lui una fonte di continua inquietudine e  eccitazione. Il sessuale pulsionale è introdotto a causa dell’adulto e “la seduzione è la verità dell’appoggio” .

Salomonsson sembra aderire a questa posizione e gli esempi da lui portati tendono a dimostrarla attraverso l’efficacia e l’evidenza della clinica. Il caso di Nic è una trattazione esemplare attraverso la quale egli descrive in modo dettagliato e con grande cura i collegamenti tra i problemi della madre relativi all’alimentazione e all’allattamento e le reazioni del bambino, e come tutto ciò si collega alle fantasie sessuali materne irrisolte e rimesse in gioco dall’allattamento.  Il lavoro dell’analista consente di far emergere l’ambivalenza materna, connessa al desiderio sessuale infantile del seno e alla gelosia (p.5).

I “messaggi enigmatici” provenienti dalla madre precipiteranno come presentazioni di cose inconsce o oggetti fonte che costituiscono la sorgente delle pulsioni del bambino, scrive Salomonsson.  Il problema riguarda l’intrasformabilità dei “significanti designificati” che diventano così Vorstellungs-Dinge (réppresentations choses) e che ingombrano la mente infantile. Non a caso Salomonsson sottolinea la similitudine tra le Vortsellungs_Dinge “fuori dalla comunicazione e dalla significazione”, secondo le parole di Laplanche, e gli elementi ß di Bion. 

Salomonsson ci mostra con grande raffinatezza come l’origine dei problemi di Nic intorno all’allattamento abbia a che fare con il conflitto materno intorno al proprio corpo e alla propria sessualità. Ciò che non è risolto a monte, viene consegnato a valle inelaborato e ingestibile.   Non solo. Il conflitto infantile materno, che accompagna la sessualità genitale adulta, rappresenta piuttosto un “resto inelaborato”, generatore continuo di tensione, inquietudine, eccitazione.  E’, secondo Salomonsson, fonte di Vorstellungs-Dinge.  Su questo “resto inelaborato” vorrei introdurre un punto di vista leggermente diverso.

3) Sessualità infantile e creatività. La “teoria della seduzione generalizzata”, proprio perché generalizzata, propone anche un’altra prospettiva, secondo la quale il “messaggio enigmatico” della sessualità materna o genitoriale, inconscio e traumatico, e soprattutto enigmatico su entrambi i versanti,  non crea solo Vorstellungs-Dinge , ma è anche fonte di un’intensa attività “creativa” nel bambino, che si esprime nel bisogno di “tradurre” ciò che resta oscuro, di immaginarlo, di fantasticarlo.  Secondo Widlöcher “la sessualità infantile non persiste nell’adulto come residuo male assimilato ma come fonte permanente di desiderio e di attività creatrici” (2000, p.34). La stessa “creatività” che Laplanche attribuisce alla “pulsione a tradurre”. E che J. André rintraccia nello spostamento che la sessualità infantile subisce nella II topica, non più oggetto o materiale del discorso analitico, non più tema del conflitto, ma “vettore” che sostiene il lavoro e il trattamento psichico.

Ritornare alle radici, mi pare qui particolarmente giustificato e opportuno, se pensiamo che Freud nel 1908 (Teorie sessuali infantili) affermava che la sessualità è il più potente stimolo al pensiero e le teorie sessuali infantili sono la risposta o il tentativo di risposta al primo grandioso problema della vita: da dove vengono I bambini? Da dove vengo io? In questo senso il “sessuale” (la sessualità infantile) può essere immaginata come un punto di incontro tra il “messaggio enigmatico” dell’adulto e la reazione del bambino ad esso,  il quale a suo modo cerca una risposta e una strada per fronteggiare e legare il trauma. Il sessuale è anche una forza lavoro che continuamente opera dentro di noi alla ricerca del piacere, nel tentativo di trasformare il nucleo traumatico e di “inscrivere nella economia libidica ciò che cerca di sfuggirvi” (J. André).   Per concludere, tornando alla domanda iniziale: La sessualità infantile ha qualcosa a che fare con i bambini? Anch’io rispondo affermativamente come Björn.  Al senso che lui ci ha mostrato e al grande lavoro di ricerca  che ha accompagnato e accompagna le sue esplorazioni, aggiungo da parte mia la prospettiva che indicavo e che rintraccio tanto nell’analisi degli adulti come nell’analisi infantile: la sessualità, in quanto resto in elaborato,  come potente stimolo al lavoro psichico sia sul versante del paziente che dell’analista, in virtù delle radici che legano la mente al corpo, e come domanda centrale su di sé, sulle proprie origini e sul proprio posto al mondo e nel mondo, perché, come affermava Green:

devo forse ricordarvi, come devo ricordare a me stesso, in caso ce lo fossimo scordati, di un fatto molto semplice? Se ciascuno di noi respira ed è vivo, ciò è una conseguenza felice o infelice che sia, di una scena primaria, in altre parole e per essere completamente espliciti, di una relazione sessuale, felice o infelice che sia stata, tra due genitori di sesso diverso, e questo che ci piaccia o no.

(…I have to remind youand to remind myself in case we forget, of a very simple fact? If any one of us breathes the air and i salive , it is a consequence, happily or unhappily, of a primal scene, in other words, to be fully explicit, of a sexual relationship, happy or un happy, between two sexually different parents, whether we like it or not) (Green A., 1995, p.880) 

 

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