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Moccia G. - L'influenza dell'altro: trasmissioni psichiche intersoggettive e strutture patologiche del sé (2011)

Giuseppe Moccia,  2011

 

Dei buoni amici dissero a mia madre che io ero triste, che
mi avevano visto pensieroso. Mia madre mi strinse a lei con
un sospiro: "Tu sei così gioioso, sei sempre così canterino! Come è
 possibile che tu ti lamenti di qualcosa?". Aveva ragione lei .....
Mia madre continuava a dirmi  che io ero il più felice dei ragazzini.
Come potevo io non crederle dato che questo era vero ?

                                                                                       (Jean-Paul Sartre)            

La citazione in esergo, tratta dalla autobiografia di J.P. Sartre, allude ad una sua esperienza infantile, di frequente riscontro anche nel racconto dei nostri pazienti, di essere come irrilevante e  trasparente nel mondo della propria madre, e inautentico, nella impossibilità di differenziare sé stesso dalle alienanti attribuzioni di lei. Autori di diverso orientamento (Fraiberg, 1982; Bollas, 1987; Mitchell, 1988; Ogden, 1991; Stolorow e Atwood, 1992; Kaes, 1993; Faimberg,  1993; Brandchaft, 1994; Stern, 1985; Fonagy, 2001) hanno osservato che una simile condizione è fondata su potenti alleanze inconsce fra i bisogni dei genitori e quelli dei figli, indotte, per vie prevalentemente non verbali, dalla trasmissione psichica da parte della madre delle proprie aspettative inconsce, delle difese, della struttura del carattere o della propria patologia. Per lo più si tratta di una organizzazione narcisistica dei genitori che li porta a riconoscere nel bambino soltanto ciò che è uguale a loro stessi e a rinnegare quanto di lui non è conforme ai loro bisogni e desideri inconsci, oscurando così non solo le peculiarità e la creatività del figlio ma lo stesso limite psichico fra loro. E' come se i genitori non riuscissero a "giocare" con l'esuberanza e la grandiosità del figlio, ora sostenendole e magari aggiungendo la propria, ora allontanandosene per vivere sé stessi e il figlio in una versione più realistica.  E' una relazione rigida, insomma, che non consente il riconoscimento e l'assimilazione della differenza e della molteplicità. Una  rigidità, agita sul piano della relazione intersoggettiva, che riflette peraltro  la medesima rigidità su quello della relazione intrasoggettiva. L'investimento narcisistico dei genitori, infatti, è spesso l'esito del medesimo  rigetto o quanto meno della negazione che essi operano nei confronti dei propri affetti; cosicché ciò che di sé stessi presentano al figlio  è quanto  non possono  ospitare dentro sé stessi ed è perciò  trasmesso al figlio per identificazione proiettiva, senza mediazioni di parola, come affetto diretto privo di trasformazione. Ma ciò che è trasmesso non ha solo a che fare con i contenuti mentali scissi dei genitori ma anche con un processo. Poiché i genitori ripudiano alcuni affetti e rappresentazioni di sé stessi (soprattutto la tristezza per lutti non elaborati e le proprie ansie abbandoniche) non solo non riconoscono nel figlio i suoi segnali d'angoscia ma comunicano inconsciamente al figlio una implicita coercizione a scinderli. Si avvia così  la formazione di una struttura del sé fondata su un oscuro senso di vergogna  e un obbligo ad auto sostenersi sforzandosi di coincidere con la versione ideale di sé "indotta" implicitamente dai genitori. Ciò che è trasmesso attraverso questo tipo di legami è una "allucinazione negativa" (Bollas, 1987; Green, 1985; Botella e Botella, 2001) dato che parti importanti della personalità del figlio non sono riconosciute. E poiché il figlio eredita le funzioni regolative della madre nel rapporto con sé stesso, anche le parti assenti nella allucinazione negativa della madre saranno introiettate e diverranno parti assenti della sua vita intrasoggettiva. Il risultato sarà una divisione tipica della personalità che si esprime in una difficoltà a sostenere  propri  desideri ed iniziative e nella coazione automatica e incoercibile a conformarsi alla realtà psichica degli altri in un adattamento alienante.  L'esperienza di questa disarmonia interna  riflette l'azione di identificazioni, non integrate e spesso operanti simultaneamente: una, poco strutturata e scissa, relativa alle rappresentazioni  di un nucleo primario affettivo del sé che trova voce solo in occasionali manifestazioni di rabbia, nel comportamento, nei sogni, nel transfert e nelle risonanze dell'identificazione proiettiva;  l'altra che riflette le sue identificazioni con le strategie difensive e le risposte dei suoi genitori alla sua espressività, costitutiva del suo falso Sé compiacente e protettivo della patologia dei genitori. In questo settore della personalità prevale un senso di sé, costruito intersoggettivamente, che ad esempio può essere avvertito come funzionante e ben adattato in superficie ma difettoso e malaticcio nella sua essenza. Momentanee sensazioni di irrealtà e di depersonalizzazione, espressione di un'attività difensiva con caratteristiche evacuative, compaiono ogni volta che le vicende della vita facilitano l'integrazione di spinte corporee, moventi, ed emozioni minacciose per le identificazioni, che  per quanto esautoranti, hanno il vantaggio di garantire il legame interno con l'interiorizzato (Winnicott, 1965; Tagliacozzo, 1989).

 Come sappiamo, Freud aveva affrontato questo argomento nei termini di un rapporto fra Io e oggetto, e persino, in alcuni passaggi, nel rapporto con la soggettualità dell'oggetto (Freud, 1914, 1921), che alterava l'Io attraverso complessi processi identificatori, per i quali "l'ombra dell'oggetto cade sull'Io" (Freud, 1915). Con la teoria dell'identificazione egli descriveva, sia nello sviluppo patologico che in quello normale, un Io dai confini fluidi e  la formazione della struttura psichica come un processo non autonomo ma a duplice influenza, dall'interno e dall'esterno, sia per come il soggetto incorpora le caratteristiche dell'oggetto, sia per come è internamente spinto ad assimilare, a farsi eguale all'oggetto per eluderne l'alterità.  Tuttavia i successivi sviluppi della teoria evolutiva in psicoanalisi e i contributi dell'Infant Research  hanno portato a riconoscere che il bambino si appropria delle qualità dell'altro non tanto perché a sua volta lo investe narcisisticamente per negarne la perdita o l'incontrollabilità, ma perché  ha bisogno di un riconoscimento e di un legame sicuro, ed essendo dotato fin dalla nascita di una potenzialità di percepirne plausibilmente le comunicazioni in risposta ai propri segnali emotivi, egli organizzerà le proprie difese comportamentali (NOTA 1) per adeguarsi ad alcuni aspetti della psicologia dei genitori. Nel caso di genitori troppo dipendenti dalle proprie difese narcisistiche o maniacali e che per questo inflazionano il figlio di grandiosità, il bambino avverte preriflessivamente che l'unico modo di essere visibile per i genitori è di  partecipare al loro sistema difensivo. Così l'identificazione con le difese dei genitori esprime anche un modo di proteggere la relazione da quegli aspetti non integrabili del sé genitoriale (Fairbairn, 1952). Difese che cercano di aggirare la percezione delle manchevolezze dei genitori in conformità allo stesso rifiuto dei genitori di riconoscerle. La fedeltà a questo modello condiviso di regolazione affettiva definisce quindi cosa una persona debba essere o non essere per sentirsi coeso, stimabile e sicuro e spiega perché, nel corso di una analisi riuscita, il depotenziamento dei vecchi principi organizzatori della personalità e l'emergere di una nuova relazione con sé stessi, risultato della graduale modificazione della patologia caratteriale, susciti una intensa angoscia, accompagnata da  sentimenti di confusione e colpa per aver abbandonato il legame con il vecchio oggetto interno.    

In questa luce uno sviluppo ottimale del bambino, si situa perciò nella possibilità dei due soggetti della coppia madre- bambino di raggiungere un equilibrio fra il mantenimento della propria organizzazione psichica e l'apertura trasformativa alla soggettività dell'altro, differente da sé, dal cui riconoscimento ciascuno dei due dipende. Una dialettica fra legame con l'oggetto (dei propri impulsi, delle fantasie e dei propri desideri) e legame con un altro soggetto (Benjamin, 1988) riconosciuto nella sua differente realtà psichica, che continuamente si perde e si ritrova nell'alternarsi di congiunzioni e disgiunzioni intersoggettive. E' una dialettica fra due modalità di relazione, sé-oggetto e sé-altro, molto simile alla differenza richiamata da Winnicott fra l'essere in relazione e l'uso dell'oggetto, vale a dire fra esperienza soggettiva dell'altro e riconoscimento della sua indipendenza "come una entità a pieno diritto" (Winnicott, 1971). Utilizzo questa oscillazione fra le due posizioni, propria di ciascuno dei due membri della coppia madre- figlio, con i relativi negoziati necessari quando le due posizioni non sono in fase,  per catturare  ciò che nel linguaggio delle ricerche sull'infanzia è descritta come una proprietà di influenza e di regolazione affettiva reciproca della diade bambino-caregivers (Stern, 1985; Beebe e Lachmann, 1992).  Naturalmente va da sé che quanto più il soggetto avrà consolidato il proprio senso di sé   tanto più potrà fare esperienza di sé e dell'altro mantenendo la propria integrità e stabilità.  E quanto più egli sarà stato riconosciuto e confermato sul piano intersoggettivo tanto più sarà flessibile e disponibile ad aprirsi all'influenza dell'altro  e quindi ad accrescere la complessità e gli obiettivi della vita soggettiva.  Ma quando le cose vanno male nelle prime relazioni con l'ambiente, o nel senso dell'incontro con  una alienante pressione dell'altro o nel senso di una sua sottrattiva assenza,  quell'equilibrio ottimale accennato sopra andrà perduto e avremo alcune configurazioni tipiche nella formazione della struttura psichica. Da una parte ci sono i disturbi psicologici che esprimono una insufficiente strutturazione del soggetto che lo lascia alla mercé di attivazioni emotive incontenibili che richiedono la costante dipendenza dalle funzioni regolative di un altro. Dall'altra le patologie che riflettono il funzionamento inconscio di una struttura psicologica coercitiva e rigida che restringe le possibilità esperienziali di una persona (Seligman, 2010). L'atteggiamento difensivo in questo caso è l'esito di una inconscia tessitura relazionale del sé e delle sue difese che si oppone  agli stati interni ritenuti incompatibili con il legame, con la propria coesione psichica e con il senso della propria continuità storica. Esso può essere pensato come un rigido autocontrollo alimentato sia dalla angoscia di ripetere esperienze di rifiuto isomorfiche a quelle originarie sperimentate nel rapporto con i genitori,  sia di avvertire una angosciante confusione interna se il soggetto permettesse a parti più profonde e autentiche di sé, ma in conflitto con il sé più conforme alle aspettative, di emergere nella coscienza. Una tipica organizzazione di questo genere,  disfunzionale sul piano delle relazioni interpersonali e della autoregolazione affettiva, è quella della personalità narcisistica che compensa l'ansia generata dalla vulnerabilità del sé con  reazioni automatiche di grandiosa e scostante autosufficienza. Egli non può avvertire sensazioni di tristezza e vulnerabilità senza provare vergogna e soprattutto senza sperimentare una certa perplessità su chi egli veramente sia. Quanto detto finora è anche definibile  nei termini di una memoria (NOTA 2)  ed è in linea con i concetti di  "modello operativo interno" (Bowlby, 1969) di "conosciuto non pensato, (Bollas, 1989), di "RIG" (Stern, 1985), di "inconscio preriflessivo" (Stolorow, 1992), di "strutture di accomodamento patologico" (Brandchaft, 1994) di "conoscenza relazionale implicita" (Stern, 2004).  Memoria di  processi affettivi  condivisi che non sono da considerare semplici internalizzazioni di eventi interpersonali o di oggetti posti in qualche luogo dell'apparato mentale, quanto piuttosto come strutture organizzatrici  inconsce che danno forma e significato  alle esperienze che una persona ha di sé  e  degli altri e che operano attraverso l'identificazione e la scissione.

Nella tradizione psicoanalitica il concetto di Ferenczi di progressione traumatica anticipa molti dei contributi contemporanei sulla patologia della relazione d'oggetto. Nella visione di Ferenczi  il potenziale patogeno di una esperienza traumatica infantile risiedeva soprattutto nella impossibilità per il bambino piccolo di sfuggire alla" introiezione dell'aggressore" e alla sua incapacità traumatica di modulare gli affetti. La precondizione per una simile identificazione era la scissione della propria esperienza viscerale, sensoriale ed emotiva e l'assunzione nel proprio inconscio delle leggi che governavano il legame affettivo  Per conservare il legame con i genitori e  proteggersi dal rischio di una ritraumatizzazione il bambino operava un drammatico adattamento precoce imperniato sulla inversione dei ruoli di accudimento, diventando un "bambino saggio" e lasciando  silente la propria memoria  dell' esperienza, bloccandone il consolidamento nell'articolazione simbolica (Bordi, 1998). Tuttavia accanto a questo livello della scissione come difesa da situazioni traumatiche discutiamo oggi su  un altro livello nel quale la scissione è parte di una struttura con funzioni organizzanti per il sé, "un accompagnamento perfettamente normale  dell'emozione" (Fairbairn, 1952) che taglia via contenuti e funzionamenti mentali incompatibili con la relazione  e non semplice fenomeno di passiva divisione della coscienza in una situazione traumatica.

Nella clinica queste strutture daranno luogo ad un processo di regolazione affettiva inconscia che si ripeterà secondo una dinamica tipica : da una parte il soggetto sperimenta una organizzazione interna alienante che lo spinge ad uniformarsi alla realtà psichica altrui e lo consegna a continui vissuti di affondare dentro la soggettività degli altri e di esserne usurpato, dall'altra  combatte per differenziarsi trovando una voce che esprima il proprio nucleo affettivo e affermi i propri pensieri ed intenzioni . E tuttavia egli sperimenta una duplice angoscia:  teme la ripetizione,   in ogni relazione affettiva, dell'esperienza annullante contro la quale erige un repertorio di difese narcisistiche e schizoidi ma nello stesso tempo teme di non ripetere quell'esperienza, come se il legame con l'oggetto ostile annullante fosse preferibile ad una oscura, angosciante aspettativa di perdere ogni legame (Ornstein, 1991; Moccia G, 2000). In questo secondo caso, osservabile frequentemente come prodotto del lavoro analitico, si riattiveranno difese scissionali che lo proteggono da uno spaventoso processo di integrazione del sé. Questa complessa dinamica rimanda alla esperienza interna di un sé alieno, con effetti estranianti, che il soggetto tenta continuamente di ricollocare nella realtà esterna da cui è provenuto. Attraverso processi prevalentemente proiettivi questi pazienti tentano di contrastare nello scenario esterno delle relazioni interpersonali o nel controllo onnipotente del corpo, le identificazioni alienanti (Faimberg, 1993; Fonagy, 2001), avvertite come una presenza estranea nel corpo e nella psiche, prive di rappresentabilità simbolica, ma che tuttavia, in quanto appartenenti al sé, non possono perdere del tutto. Se tuttavia recuperano nell'atmosfera di intimità e riflessività della situazione analitica,  parti di sé scisse ma tuttavia vitali, emotive e autentiche, anche se non hanno  trovato a suo tempo un riconoscimento consensuale nella relazione primaria, il paziente può sentirsi di fronte ad una esperienza di "cambiamento catastrofico" (Bion, 1965) e  sperimentare confusione, perplessità sulla propria interiorità, colpa, indegnità e sensazioni di essere intimamente difettoso, come espressione della azione delle identificazioni che desiderava abbandonare, nel sostegno della relazione analitica, ma che tuttavia  non poteva perdere in quanto ampiamente costitutive del suo sentimento di sé in alleanza con l'idioma di cure della madre (Bollas, 1987). La depersonalizzazione e le resistenze al processo analitico rappresentano quindi, in questa luce, un'attività evacuativa difensiva per il mantenimento di un falso sé corrosivo della propria autenticità, ma socialmente condiviso e quindi funzionale alla conservazione di un senso di coesione e stabilità. Egli risulterà così scisso fra due versioni di sé stesso: in una è ben funzionante e socialmente adattato anche se avverte l'inautenticità di questa condizione, l'opacità del proprio sentimento di sé e la scarsa vitalità, nell'altra invece egli tenta inconsciamente di distruggere la propria compiacenza e di riguadagnare un senso di autenticità e di iniziativa personale attraverso l'elusività narcisistica, gli agiti, la proiezione  ed il controllo negli altri di un oggetto narcisistico annullante . Passerà quindi da una pervasiva disposizione a farsi carico della patologia caratteriale degli altri e ad uniformarsi alle loro aspettative ad improvvisi comportamenti impulsivi, scoppi di rabbia, sfide talora pericolose per sé e per gli altri.  Ma tutto organizzato in un esistenza nella quale le due versioni di sé vivono l'una accanto all'altra senza influenzarsi. Il paziente è consapevole di una disarmonia nella personalità ma non è in grado di riconoscere le ragioni che la sostengono a meno che l'analista non porti, più e più volte, l'attenzione su questa dinamica.

Un  paziente che aveva sposato la propria moglie in osservanza ad un incoercibile obbligo a "normalizzare" il fidanzamento con lei e a "prendersi cura di una nuova famiglia" era stupefatto dall'indifferenza con la quale l'aveva poi tradita fin dal primo giorno di matrimonio. Persona brillante e di successo egli amava sua moglie e si rimproverava molto per questa sua infedele vita segreta ma sapeva anche che non avrebbe saputo rinunciarci. Ciò che il paziente non afferrava era la prevalente qualità depressiva del suo umore, molto probabilmente dovuta ad effettive esperienze di abbandono durante l'infanzia riaffioranti nelle riedizioni attuali del suo passato. E non la comprendeva perché era completamente scisso lo schema emotivo contenente la rappresentazione di un sé solitario e angosciato, di una madre narcisistica e maniacale che induceva implicitamente l'obbligo ad ignorare la sofferenza e ad autosostenersi. Egli semplicemente si rifiutava di riconoscerlo, così, la sequenza, sottratta alla riflessione, era destinato ad una automatica e coattiva ripetizione nell'azione. Da adulto era diventato una persona intellettualmente brillante che si lasciava affascinare da donne   autoreferenziali e pretenziose, di ostentata autosufficienza ma delle  quali tuttavia egli indovinava la sottostante fragilità, così come da piccolo era stato il "bambino saggio" di una madre narcisistica evitando di pesare su di lei con i propri bisogni di accadimento. Tuttavia egli sabotava, attraverso una serie incredibile di atti mancati, tutte le sue realizzazioni professionali e della vita amorosa che inconsciamente avvertiva come catene tenute nelle mani degli altri. Così si trovava ad ignorare letteralmente la propria dipendenza affettiva, le proprie angosce di perdita e la propria tristezza, subito sostituite da eccitanti fantasie erotiche e nuove esaltanti conquiste sessuali. Ignorava anche la sua ambivalenza e la realtà emotiva delle sue esperienze nella vita attuale come in quella passata, tanto da dichiararsi "felicemente" sposato e di avere avuto una "infanzia normale", là dove il suo racconto descriveva invece abbandoni traumatici e solitudini terrificanti, passate sotto silenzio dai genitori, per i quali uno immaginava l'inevitabile comparsa di una depressione infantile. Naturalmente questa dinamica comportava che egli non potesse del tutto appoggiarsi all'analisi e per non ripetere l'esperienza primaria con l'oggetto invadente e perché dava per scontato che l'analista non avrebbero tollerato aspetti di sé stesso meno che ideali (e che pertanto dovevano continuare a restare scisse). Il paziente perciò era piuttosto "brillante" anche in seduta e alla continua ricerca di conferme e riconoscimenti, piuttosto vigile sulla propria esperienza durante la seduta e preoccupato che l'analista potesse indovinare qualcosa di lui che non poteva essere ammesso se non con molta angoscia e vergogna. Tuttavia nei sogni si intravedeva il dispiacere per "essere rimasto, isolato a casa, con gli occhi chiusi, fino a superare l'orario della seduta analitica", di "auto in panne" che "sarebbe stato necessario riparare" ma tuttavia lui "sceglieva di raggiungere la sommità" di una montagna lì vicino o di inquietanti  "scimmioni" che guastavano il favoloso e scintillante mondo di un sultano.         

L'approccio tecnico a questo settore onnipotente del sé è questione controversa. Infatti da una parte l'interpretazione diretta dell'onnipotenza difensiva può portare il paziente in contatto con affetti e stati del sé non ancora pensabili e l'immediato vissuto transferale di una impersonale autorità che impone un nuovo adattamento forzato, cosa che aumenta ulteriormente le resistenze. Ma dall'altra è illusoria anche l'idea che il semplice rispecchiamento della onnipotenza difensiva possa portare a qualche beneficio. Di fatto questa posizione collude con le difese, riflette  al paziente un immagine di un sé deficitario e, eludendo l'indagine sulla sua alienante organizzazione interna, lo vincola ad una interminabile dipendenza dall'analisi. In questo caso l'analista preferì una via intermedia che girava attorno alle memorie affettive sempre in procinto di essere ripetute anziché ricordate. Fu necessario insomma  mantenere un delicato equilibrio fra interpretare e non interpretare  talora lasciando il paziente nel suo bozzolo narcisistico protettivo ma anche "afferrandolo" con interpretazioni dirette quando la ripetizione nei suoi rapporti interpersonali della sua relazione interna con un oggetto narcisistico-annullante comportava l'attivarsi di nuovi sensazioni di invasione e il bisogno di contro-agirle  con nuovi agiti auto ed etero-distruttivi.

In un recente piacevole romanzo di Francesco Piccolo  "La separazione del maschio" è descritta una condizione esistenziale simile nel personaggio di uno sceneggiatore cinematografico il cui "felice" matrimonio alla fine andrà in crisi. Egli sarà lasciato dalla moglie ma non perché scoperto nei suoi continui tradimenti ma perché, credendo di non essere visto, scopre la moglie nell'unica occasione in cui lei lo tradisce e reagisce misconoscendo l'evidenza. Ma la moglie in realtà lo ha visto e da questo comprenderà l'inautenticità del loro rapporto e come la loro vita personale e di coppia fosse sempre stata, in un tacito patto fra di loro, scissa e priva di profondità emotiva.

Qualcosa di molto simile può accadere nelle analisi con questi pazienti quando le vecchie modalità di relazione con l'oggetto  del paziente, fondate sulla scissione, si ripetono non riconosciute nell'analisi e si congiungono con una  organizzazione psichica complementare dell'analista, alla quale il paziente presta una attenzione selettiva, mentre in superficie tutto procede normalmente. Siamo abituati a contare sulla nostra capacità di sorvegliare il controtransfert e di cogliere così il nostro contributo alla produzione del fenomeno clinico, ma spesso zone cieche della nostra comprensione ci permettono di capire solo a posteriori, quando le vecchie organizzazioni dell'esperienza  intersoggettiva si sono ripetute nell'azione con la partecipazione inconscia dell'analista. Ma talora quando le strutture psichiche patologiche si sono formate precocemente, prima della acquisizione delle capacità simboliche, questa può essere  l'unica strada  attraverso la quale esse possono esprimersi. Ed è dall'indagine sulle dinamiche intrapsichiche e su quelle interpsichiche che si situa una esperienza nuova che  dischiude al paziente la possibilità di depotenziare la sua vecchia organizzazione del sé e di scoprire finalmente ciò che Loewald chiamava un "nuovo rapporto con l'oggetto" (Loewald, 1960).

NOTA 1): Non utilizzo qui il termine difesa nei termini di un conflitto intrapsichico fra istanze ma più nel senso di difesa nel comportamento (S. Fraiberg, 1982) o di memoria identificatoria (Bastianini e Moccia, 2003). L'esito di un apprendimento implicito attraverso il quale regolarità interattive si trasformano in struttura psichica.

NOTA 2): Una memoria di precoci regolazioni affettive condivise con i genitori, dalle quali il bambino trarrà non solo il senso ma anche il valore della propria espressione affettiva nella associazione fra uno stato del sé e la risposta contingente dell'ambiente. Una memoria che iscritta nell'ambito del presimbolico e rimaneggiata poi simbolicamente, opera in un area dell'inconscio non rimosso e diventa l'organizzatore inconscio delle successive relazioni emotive con gli altri e con se stessi e, per quanto riguarda la situazione psicoanalitica, del transfert  (Moccia, 2006).

 

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