Domenica, Maggio 05, 2024

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Ginzburg A. - Cronistoria di un seminario trasversale (2022)

L’ipotesi di questo particolare seminario trasversale sul rapporto fra letteratura e psicoanalisi nasce dalla richiesta di un’allieva di veder mettere in pratica un’idea da me più volte formulata a lezione riguardante la necessità di includere nella formazione degli analisti seminari sulla letteratura, per abituarli a scoprire la quantità e qualità di anticipazioni che vi si possono rintracciare rispetto all’universo delle emozioni.

Troppo spesso la psicoanalisi, a mio parere, si serve della letteratura come conferma delle proprie concezioni senza approfondirne la specifica qualità e la molteplicità dei significati. Freud stesso, dopo una fase iniziale in cui nella Gradiva dichiarava che il vero poeta “è sempre stato il precursore della scienza e anche della psicologia scientifica” ha finito con il mettere la letteratura al servizio delle proprie teorie, o piuttosto come diceva acutamente Francesco Orlando “la psicoanalisi prende l’espressione poetica al suo servizio, ma le rende in cambio il servizio di una illuminazione”, di cui però criticava la forma. Purtroppo la confusione fra vita personale e autore così come la tentazione di trattare il personaggio come una persona reale ha prevalso, nella maggior parte dei casi, invece sulla lettura approfondita dei testi letterari, dando luogo così ad una sorta di strumentalizzazione.

L’ipotesi di lavoro (“cosa la letteratura insegna alla psicoanalisi”) si è concentrata su un singolo autore come Proust che nella Ricerca del tempo perduto mostra intuizioni sul funzionamento dell’inconscio e delle emozioni analoghe a quelle proposte soprattutto da Matte Blanco e, in qualche misura, da Bion. Il presupposto è quello di ricavare dal testo gli aspetti più rilevanti dei temi fondamentali nella conduzione di un trattamento analitico. Proust conosceva la psicologia del suo tempo, ma non aveva letto Freud, nonostante le sollecitazioni di Gide, eppure era convinto di poter rintracciare, a partire dalla propria esperienza, delle leggi psicologiche di un valore più generale, con un acume che non finisce di meravigliarci.

La raccomandazione rivolta agli allievi era quella di abituarsi a considerare il Narratore, sia bambino che adulto, come non sovrapponibile all’autore, anche se il loro nome è identico. Come usava dire Proust, lo scrittore è come Hyde, presente solo quando Jekyll è assente.

Agli allievi è stato inviato in anticipo un materiale consistente in citazioni più o meno estese attinenti ai 5 temi fondamentali che avremmo affrontato:

·       Il bacio negato

·       La gelosia

·       L’arbitrarietà dell’oggetto d’amore e l’oblio

·       Il sonno e i sogni

·       La memoria involontaria e il Tempo ritrovato

Senza ovviamente pretendere di compiere una descrizione estesa del seminario, ne darò in questa sede il tracciato.

1.     Il bacio negato

Il racconto di questo particolare bacio che il Narratore bambino non riceve prima di coricarsi a causa di una cena a cui è stato invitato Charles Swann, un amico di famiglia, ricopre una particolare importanza nel romanzo. È a partire da questo evento, traumatico per la sua eccezionalità nella mente del protagonista e per le conseguenze che ne derivano, che si configura la sua affettività futura, caratterizzata da peculiarità che si riproducono in ogni nuova esperienza.

Questo bacio serale è, per il bambino che vede arrivare con sofferenza la notte, un viatico prezioso che di solito porta con sé fino al momento di addormentarsi, ma che, una volta negato, risveglia un sentimento di morte forte al punto da fargli immaginare uno stratagemma estremo: mandare la domestica dalla madre con una richiesta urgente della sua presenza. Tuttavia nel frattempo l’emozione dolorosa ha invaso tutti i suoi gesti, simili a quelli di un condannato a morte, ma soprattutto, ha reso ostile la stanza da pranzo proibita e si è irradiata, avrebbe detto Matte Blanco, a tutti gli oggetti in essa contenuti. Il bambino è sicuro che l’ospite, Swann, non avrebbe compreso la sua pena, ignaro che questi “l’angoscia che si prova sentendo l’essere al quale si vuole bene in un luogo di piacere dove noi non siamo, dove non possiamo raggiungerlo, è l’amore che l’ha fatta conoscere.” (I, 38)

L’analogia fra i sentimenti provati da ambedue questi personaggi di età tanto diverse si rafforza con la rappresentazione della “festa inimmaginabile, infernale, nelle cui spire credevamo che turbini ostili, perversi e deliziosi trascinassero lontano da noi, facendola ridere di noi, colei che amiamo!” (I, 38-9), fantasia che va intesa qui come un’anticipazione dell’idea proposta da Matte Blanco che l’inconscio e le emozioni trattino i singoli individui o situazioni come appartenenti ad una stessa classe che li rende identici e intercambiabili purché abbiano qualcosa in comune che li definisce e che in logica è chiamata funzione proposizionale. In questo caso l’innocua serata che separa il bambino dalla madre viene vista negli identici termini sia di una scena primaria che di un festino infernale. L’avvicinamento, anzi la sovrapposizione fra le due situazioni costituisce una simmetrizzazione che darà una forma intollerabile e perversa per il Narratore adulto ad ogni condizione di esclusione dalla donna amata. Non solo, anche l’irradiazione su tutti gli oggetti vicini alla madre assente, ricorda le altre caratteristiche individuate da Matte Blanco nelle emozioni: generalizzazione e massimizzazione attribuite, in questo caso, al contesto, che si presta ad impersonare un insieme infinito.

Quella notte, “destinata a restare come una data, ma una data triste” (I, 48) in cui il Narratore bambino attende sulle scale il rientro della madre, aspettandosi una inevitabile punizione, segna la sconfitta della Legge paterna che vieta l’incesto, visto che il padre, infrangendo le sue stesse regole più severe, manda la madre a dormire con il figlio. Il destino di Swann e quello del Narratore sono segnati da episodi fortuiti che si trasformeranno in desiderio di controllo e gelosia ogni volta che saranno accomunati dalla medesima sensazione di esclusione.

2.     Le girandole della gelosia

La gelosia è infatti uno dei temi dominanti del romanzo. Ad essa Proust dedica un intero romanzo all’interno della sua opera (Un amore di Swann), in cui oltre ad analizzare questo specifico sentimento, viene mostrato un alter ego del Narratore che però non arriva mai alla sua stessa grande scoperta che culmina nel Tempo ritrovato. Non vi arriva perché è un dilettante, e le sue intuizioni si arrestano sempre troppo presto.

Il suo amore per Odette, donna di facili costumi e di scarsa intelligenza nasce quando una sera non la trova nel salotto dove era solito incontrarla. L’imprevisto suscita in lui quel bisogno di controllo che sarà proprio anche del Narratore: “di tutti i modi di produzione dell’amore, di tutti gli agenti di disseminazione del male sacro, uno dei più efficaci è certo questo gran soffio d’ansia che passa a volte su di noi” (I, 280).

Il sentimento diventa esclusivo quando si attiva nei confronti dell’oggetto “il bisogno assurdo, che le leggi di questo mondo rendono impossibili soddisfare e difficile guarire- il bisogno insensato e doloroso di possederlo” (I, 280). Un bisogno che è anche una malattia, da cui non si guarisce, perché fa tutt’uno con il soggetto in cui si installa: “ faceva a tal punto un tutt’uno con lui, che non si sarebbe riusciti a strappargliela di dosso senza distruggere per intero, o quasi, la sua stessa persona: come si dice in chirurgia il suo amore non era operabile” (I, 373-4) L’oggetto viene quindi scelto per la sua possibilità di suscitare sofferenza, ma nello stesso tempo risveglia una curiosità che è anche un desiderio di conoscenza, sia pure di stampo indiziario.

L’inafferrabilità dell’oggetto d’amore è di nuovo la caratteristica – se vogliamo la funzione proposizionale- che è alla base del sentimento che il Narratore prova per diverse figure femminili, ma soprattutto per Albertine “essere di fuga” per antonomasia.

In lei si incarna la categoria dello “sconosciuto” nella sua versione che più si riferisce alla gelosia, là dove invece ciò che è conosciuto è rassicurante ma spesso si confonde con la noia. Così il trauma precoce del Narratore la notte del bacio negato ha preso la forma di una emozione che solo la non appartenenza suscita e tiene in vita, ed è quindi solitamente foriera di gelosia. “Nella sofferenza fisica, almeno, non dobbiamo scegliere noi stessi il nostro dolore. La malattia lo determina e ce lo impone. Nella gelosia invece, è in qualche modo necessario saggiare sofferenze d’ogni genere e grandezza prima di fermarci su quella che ci sembra più conveniente” (IV, 156). In particolare la gelosia viene suscitata dall’idea che esseri diversi possano offrire piaceri che non si è in grado di offrirle. Proprio come il bambino, del resto, può provare questo senso di inadeguatezza nello scenario edipico da cui si sente escluso.

La gelosia nei confronti del passato sconosciuto di Albertine evoca nel Narratore le stesse sensazioni provate nella notte del bacio negato. La medesima atmosfera “ostile e inesplicabile, simile a quella che saliva un tempo sino alla mia camera di Combray dalla sala da pranzo dove sentivo conversare e ridere con gli estranei, fra il rumore delle forchette, la mamma che non sarebbe venuta a darmi l buonanotte” (IV,156). Attraverso questa imprevedibile simmetrizzazione implicita fra le due situazioni, possiamo intravedere insieme a Proust la sua intuizione del funzionamento unificante degli strati più profondi della mente, quando le classi diventano sempre più ampie ed inclusive al punto di rendere indistinguibili scenari tanto diversi fra loro.

3.     L’arbitrarietà dell’oggetto d’amore e l’oblio

Passo dopo passo il Narratore ci ha condotto a scoprire l’arbitrarietà dell’oggetto d’amore, scelto non per le sue caratteristiche individuali e specifiche ma per la sua capacità di attivare la sofferenza evocativa della scena del bacio negato, il cui imprinting inizia a svelare la soggettività che impone all’oggetto determinate condizioni per emergere: “il rischio di una impossibilità”. Le considerazioni del protagonista mettono ora in luce l’arbitrarietà di quelle che gli appaiano delle scelte- Non solo diventano intercambiabili quando ne scopre le motivazioni tutte interne a lui, ma possiedono “un potere “quasi elettrico” in grado di eccitare il mio amore, vale a dire dirigere tutte le mie azioni e provocare le mie sofferenze” (III,381)

Anche in questo caso l’autore sottolinea genialmente quanto estranea alla realtà specifica dell’oggetto sia l’area delle emozioni e dei sentimenti che lo investono, in cui è il modo di essere simmetrico a dettare legge, “perché una certa somiglianza esiste, pur evolvendosi, fra le donne che via via amiamo, e dipende dalla fissità del nostro temperamento il quale assumendosi l’incarico di sceglierle, elimina tutte quelle che non siano per noi, ad un tempo, opposte e complementari, vale a dire atte a soddisfare i nostri sensi e a far soffrire il nostro cuore” (I,1081). Una constatazione impressionante di un assunto fondamentale di Matte Blanco: L’inconscio e le emozioni non conoscono l’individuo ma unicamente classi definite da una funzione proposizionale.

Questa conclusione ridimensiona definitivamente l’amore e la donna amata:” Proporzioni minuscole della figura della donna, effetto logico e necessario del modo in cui l’amore si sviluppa, chiara allegoria della natura soggettiva di un amore” (IV,22)

A partire da questi presupposti l’oblio viene temuto quando riguarda persone sinceramente amate, come la nonna, ma suscita sentimenti contrastanti quando si rivolge alle donne amate e odiate ad un tempo. Da un lato l’oblio viene procurato attivamente attraverso il distacco e la lontananza da “quella idea fissa che è un amore” (I, 752) dall’altro questo stesso oblio viene temuto in quanto corrisponde a una vera e propria morte dell’io che ha provato quei sentimenti, a cui farà seguito la resurrezione di un io “indifferente, che le parti del vecchio io condannato a morire non possono giungere ad amare” (I, 813).

Del resto anche la donna amata non è unica: proprio come l’io è suddivisa in mille personificazioni che l’oblio dovrà dimenticare ad una ad una. In questo caso si può dire che la parte è uguale al tutto, e il tutto identico ad ogni sua parte.

Dolori e gioie passate non sono sempre in nostro possesso: finiscono in una regione sconosciuta, ma se si ricostruisce la cornice di sensazioni in cui sono conservati, espellono tutto il resto “installando in noi, solitario, l’io che li ha vissuti”. (II,917). La regione sconosciuta evoca quella dell’inconscio non rimosso, e la cornice di sensazioni che vi sono conservati preannuncia già l’emersione del tempo ritrovato.

4.     Sonno e sogni

Il tema del sonno ha sempre affascinato Proust, abituato dall’insonnia a mescolare sonniferi e droghe varie. Il Narratore descrive lungamente un sonno in cui è alla ricerca della nonna, come un viaggio agli inferi, dove si compie “la sintesi dolorosa… della sopravvivenza e del nulla” (II,921). Mondo del sonno in cui le emozioni della veglia agiscono con potenza centuplicata e dove esperienze inconciliabili come la vita e la morte entrano a far parte di una classe più ampia che le ingloba tutte.

Il sogno, come l’amore e il dolore è uno dei pilastri della Ricerca del tempo perduto “dove si svelano per noi il ritorno alla giovinezza, il recupero degli anni passati, dei sentimenti perduti, la disincarnazione, la trasmigrazione delle anime, l’evocazione dei morti, le illusioni della follia, la regressione verso i regni più elementari della natura” (I,993).

La razza che vi abita è androgina. “Un uomo, dopo un istante, vi appare sotto l’aspetto di una donna: le cose hanno una certa tendenza a diventare uomini, gli uomini a diventare amici o nemici” (III,221)

La potenza del sogno si contrappone alle lotte contro l’oblio annullando il tempo: “il sogno che non tiene conto delle divisioni infinitesimali del tempo, sopprime le transizioni, contrappone i grandi contrasti, disfa in un attimo il lavoro di consolazione tessuto durante il giorno “(IV, 147-8)

È anche in grado di moltiplicare le rappresentazioni del sognatore. A proposito di un sogno di Swann: “come certi romanzieri aveva ripartito la propria personalità fra due personaggi, quello che sognava, e uno che questi vedeva, con fez davanti a sé” (I, 457-59).

5.     La memoria involontaria e il Tempo ritrovato

Più volte il Narratore aveva parlato di un personaggio dentro di lui la cui gioia consisteva nel trovare delle identità tra il presente e il passato, il punto che un essere e un altro avevano in comune. In questo elogio del miracolo dell’analogia è racchiuso il segreto che porterà alla scoperta finale del ritrovamento del Tempo che si credeva perduto nel suo duplice significato: perso perché sprecato, perduto perché irragiungibile attraverso il semplice ricordo. La scoperta avviene per tappe progressive.

La prima avviene bevendo una tazza di tè in cui ha immerso una madeleine. La memoria involontaria riporta alla luce, con qualche sforzo, tutto il passato della fanciullezza del Narratore e fa riemergere Combray e i suoi abitanti dalla tazza del tè. Le ragioni di questo miracolo risiedono, scoprirà dopo molti tentativi andati a vuoto, proprio nella memoria involontaria, che nulla ha a che fare con il ricordo comunemente inteso. A lungo il Narratore si dibatte in una ricerca che lo porta nella direzione sbagliata, finché il caso, come in una fiaba delle mille e una notte, lo porterà involontariamente nella direzione giusta.

Gli avvertimenti che gradualmente lo illuminano gli provengono da alcune sensazioni che prova andando ad una festa a casa dei Guermantes: il dislivello di una pietra del selciato, il rumore di un cucchiaio contro una tazza, una salvietta inamidata su cui posa le labbra. Ognuna di queste sensazioni lo riporta come per incanto ad un momento vissuto in precedenza, perché grazie all’oblio è rimasto nascosta nella profondità di cui ha già parlato: “un istante affrancato dall’ordine del tempo ha ricreato in noi, per sentirlo, l’uomo affrancato dall’ordine del tempo” (IV,550)

È sufficiente che un rumore o un odore sentiti un’altra volta si ripresentino nel presente, “a un tempo nel presente e nel passato, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, ed ecco che l’essenza permanente e abitualmente nascosta delle cose è liberata, e il nostro vero io che (da molto tempo a volte) sembrava morto, ma non lo era del tutto, si sveglia, si anima ricevendo il nutrimento celeste che gli viene offerto.” (IV,550).

Il momento dell’estasi metacronica in cui, al di fuori del tempo, grazie al miracolo dell’analogia due realtà diverse si trovano a convivere in un unico spazio, soltanto in un universo multidimensionale può essere evocato e diventare la fonte della scoperta che illumina il lungo percorso compiuto dal Narratore: è la creazione artistica che sola lo può tradurre: “È il lavoro fatto dal nostro amor proprio, dalla nostra passione, dal nostro spirito d’imitazione, dalla nostra intelligenza astratta, dalle nostre abitudini, quello che l’arte dovrà disfare; quello che l’arte ci farà compiere è il cammino in senso opposto, il ritorno alla profondità dove ciò che è realmente esistito è sepolto, a noi sconosciuto.” (IV,578-79)

Se allora il contenuto dell’arte da riportare alla luce sono “i nostri sentimenti, le nostre passioni, i sentimenti di tutti.” (IV,591) anche l’invito di Bion ad utilizzare la conoscenza (K) solo quando si sia incontrato attraverso l’esperienza di O il mondo ineffabile della propria emozione, trova una collocazione che la creazione artistica concepita da Proust ha preannunciato.

Bion e soprattutto Matte Blanco sono stati da me evocati là dove le parole dell’autore si prestavano ad una lettura che certamente non ne esclude altre, anzi si spera illumini il valore del prodotto artistico nella produzione di molteplici e- perché no- infiniti significati.

6.     Conclusioni

Non è stato facile per la maggior parte degli allievi abituarsi a leggere il testo prima di tutto in quanto tale, senza saturarlo troppo presto con concetti analitici già conosciuti. Persino leggere ad alta voce ha suscitato all’inizio qualche difficoltà, poi superata grazie alla magia del testo. Uno strumento utile si è rivelata la possibilità di sottolineare nello scritto le parole più significative. Indubbiamente la grande quantità di letture previste nei diversi seminari ha impedito di dedicare più tempo a una lettura preliminare antecedente al seminario. Credo comunque che il messaggio sia arrivato a destinazione.

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