Nel campo medico è il pediatra la persona che può osservare in modo più diretto, perché in stato nascente, la stretta relazione che il corpo ha con la mente.
La nascita del mondo mentale e psichico del bambino avviene molto precocemente e, all’inizio, è fondata sul funzionamento somatico. Tutto lo sviluppo psicologico del bambino è interrelato con il buon funzionamento fisico e con le cure che l’ambiente familiare gli offre. L’intervento del pediatra, che si prende cura dalla nascita del bambino, e che stabilisce un contatto anche con i genitori, può essere di grande aiuto e, a volte, determinante nei momenti critici del suo sviluppo non solo fisico ma anche psicologico.
Se il sapere scientifico del medico è integrato con un sapere psicologico può essere usato clinicamente in modo naturale e può arricchire il potenziale curativo del pediatra.
Il medico che colga e osservi anche le reazioni emotive del bambino e dei genitori all’ambiente e alla sua presenza, e che dia ascolto ai loro vissuti relativi allo stato fisico del figlio, può trarne preziose indicazioni per stabilire una comunicazione significativa con i pazienti che dia loro la fiducia di essere capiti e di essere curati e, in alcuni casi, per cogliere precocemente i segni di possibili patologie della sfera emotiva del bambino o della relazione madre-bambino.
Tutto ciò è particolarmente importante anche nelle situazioni di urgenza in ambito ospedaliero e nelle malattie croniche, in cui la gravità della situazione richiede al medico di occuparsi del corpo in modo totale e sembra di sentire che non c’è tempo e non c’è spazio per pensare alle richieste emotive. In realtà anche in quei momenti è estremamente importante, per il paziente, quello che il pediatra può fare in termini di contatto e di riconoscimento delle sue angosce. Ma il medico in questi casi deve sopportare un carico emotivo intenso, per il quale è necessario un luogo in cui riflettere su quello che i pazienti gli fanno provare e per condividere e integrare le esperienze dolorose con le quali egli deve necessariamente entrare in contatto.
“…il farmaco di gran lunga più usato in medicina generale è il medico stesso, e (…) non è soltanto la bottiglia di medicina o la scatola di pillole che contano, ma anche il modo in cui il medico le offre al suo paziente – in verità, tutta l’atmosfera in cui la medicina viene data e presa. …in nessun testo, si trova una qualunque indicazione sulla dose in cui il medico deve prescrivere se stesso”. M. Balint 1961.