Venerdì, Dicembre 13, 2024

La soggettività nascente tra "matrice indifferenziata" e "distruzione riconcepita" (17 ottobre 2024). Report di Simona Pranzitelli

 

“Ho imparato che le persone dimenticheranno quanto le hai detto,

quanto hai fatto, ma le persone non dimenticheranno mai

come le hai fatte sentire”. (Maya Angelou)

 

Paolo Boccara, relatore dell’evento, racconta della nascita del suo contributo scientifico concepito da confronti e scambi con i colleghi Giovanni Meterangelis e Giuseppe Riefolo.

Boccara fa riferimento al processo di soggettivazione nell’esperienza analitica secondo il modello di Anna Ferruta, ovvero intendendo che esso “comporta la valorizzazione degli oggetti incontrati per la costruzione del Sé ma anche del lavoro psichico operato dal soggetto”. In questo senso le prime relazioni, come quella madre-bambino, sono fonti organizzatrici della mente per tutta la vita ma sappiamo anche quanto esse possano essere ri-scritte, come avviene nell’esperienza analitica in cui può esserci occasione di originalità e potenzialità creativa ri-legando affetti e rappresentazioni apparentemente alterati, lavorando sul rimosso pre-rappresentativo e sull’ “accaduto non sperimentato” (Ogden, 2016). In analisi, infatti, nel campo psichico della diade operano paziente e analista come il bambino e la madre in origine.

Boccara sviluppa le sue riflessioni a partire da un caso clinico, che qui sintetizziamo nei suoi passaggi principali.

Roberto chiede un’analisi a seguito di crisi di panico sperimentate durante il percorso post-universitario, sperimenta il timore di esternare troppo le sue emozioni, soffre di un’angoscia che tende a paralizzare lesue capacità mnemoniche. Il paziente oscilla nell’esprimere due tipi di funzionamento mentale, che spesso si presentano simultaneamente: uno frutto di conflitti rimossi e l’altro contraddistinto da “riattivazione di processi dissociativi legati alla sospensione dei processi integrativi del Sé” (Riefolo, 2015). Vi sono cioè diverse rappresentazioni del Sé di Roberto nel "qui e ora" della seduta, legate ad un senso di inettitudine globale, di cui il giovane lentamente si accorge di aver da sempre drammaticamente sofferto.

Boccara avvicina quel "fondo impersonale della vita psichica fatto di molteplici stratificazioni, irriducibile al rimosso"pre-rappresentativo, rendendo evidenti le differenti modalità di trasformazione psichica lungo il processo analitico e i momenti in cui, lavorando sul legame tra simboli e affetti, si sono ampliate le funzioni psichiche della coppia paziente-analista.

Il contributo illustra la dimensione inconscia che sta prima della distinzione tra esterno e interno, tra soggetto e oggetto, tra analista e paziente, conscio e inconscio, affetto e rappresentazione, ovvero quello che avviene attraverso l’esperienza analitica condivisa e narrata, fatta di simbolizzazione e integrazione, di verbale e “non pensato” o “non conosciuto”. Al centro del processo di simbolizzazione c’è, per Boccara, l’oggetto, ovvero “la funzione simbolizzante dell’oggetto” con “l’esperienza che il soggetto ne fa”, cioè l’oggetto "da e per simbolizzare”. L’analista inoltre, sopravvivendo alla distruzione, pur essendosi sentito demolito dal paziente, gli permette di sentirsi un soggetto distinto dall’oggetto: ciò è possibile poichè l’analista è stato disponibile a reggere un dialogo intimo e potenzialmente reciproco con il paziente (Benjamin, 2019), doloroso per entrambi, ma utile per comprendere ciò che non poteva essere espresso in altro modo (“L’uso dell’oggetto”, Winnicott, 1967 rielaborato da Ogden, 2017).

Un momento fondamentale nel lavoro con Roberto è stato quando, in una seduta, l’analista percepisce l’angoscia del paziente come avente una qualità diversa dal solito, una parola che produce fisicamente un fastidio fisico nel terapeuta (“parola condensata”, Ferruta), collegata ad un passato comune a entrambi.

Un lavoro dunque, con gli “stati non rappresentati della mente”, connessi alla traumaticità della relazione primaria, punto centrale dello sviluppo della psicoanalisi contemporanea, reso possibile dal ripresentarsi di configurazioni passate nel vivo della relazione analitica, attraverso una nuova e possibile traduzione, costruzione, narrazione ed elaborazione.

Un punto cruciale del lavoro di Boccara è relativo all’entrare nella dimensione affettiva di ciò che vive l’analista stesso a contatto con il paziente, “arrivare in analisi in quel luogo in cui realtà/fantasia, passato/presente, sembravano indistinti. Il Sé e l’altro davano la sensazione di coincidere, l’esterno e l’interno si connettevano”.

Il neonato vive “l’esperienza senza differenziazione”, ovvero in uno stato di “primordiale densità” (1977, Loewald) e solo in seguito vi è possibilità di distinzioni (dentro/fuori, Sé/Altro, fantasia/realtà) che tendono a coprire l’esperienza di “unità primaria” che però non scompare mai del tutto dalla mente. Proprio da questo “indifferenziato” sembrerebbero derivare le dimensioni affettive con cui si vivono le separazioni dall’altro e da cui si costruisce la propria soggettività. Rivedendo in modo creativo Loewald, Boccara individua nei processi di interiorizzazione, proiezione e identificazioni delle difese ma anche dei prodotti delle modalità affettive con cui avviene la successiva differenziazione, quella che chiamiamo l’esperienza dell’alterità. Le “esperienze emotive primordiali” si ripresentano e vengono pertanto continuamente ri-processate insieme ad altre esperienze evolutive successive, entrando a far parte di un’esperienza affettiva che opera come di nascosto, diventando a volte di ostacolo in passaggi esistenziali oppure mettendo in crisi assetti precedentemente consolidati, come nel caso di Roberto.

Attraverso la “parola condensata”, l’enacment, l’immagine-sogno e un successivo ricordo che si forma nella mente dell’analista, il “dream-like memory” di Bion, si riescono a decodificare esperienze non sempre narrabili che, se l’analista riesce a vivere sulla propria pelle e a condividere con il paziente, diventano un modo per meglio comprendere alcuni funzionamenti che hanno origine in esperienze passate, com’è avvenuto in questo caso. “Qualcuno che parla ad un bambino senza che il bambino possa capirlo” è stato il punto di sblocco grazie al quale l’analista è riuscito a immaginare qualcosa che non poteva essere narrato verbalmente poiché era memorizzato attraverso un’esperienza affettiva, che l’analista ha colto avvertendo egli stesso la sensazione corporea associata a quel ricordo: è stato possibile così condividere una traccia non verbalizzata, recuperata dall’analista “per assonanza con il vissuto della terapia, una traccia in continua oscillazione tra processi di rimozione ed emergenza di ciò che non è ancora stato sperimentato psichicamente”.

Con Winnicott, ciò è potuto accadere poichè “l’effetto sembrava reale nella sua terribile intensità… non credevo nei particolari descritti come ricordi, ma ero pronto a credere nell’affetto che li accompagnava” (1949).

Boccara descrive come ha potuto avvicinare le potenzialità creative connesse all’inconscio, inconscio inteso non solo come “passato che tende a ripetersi” ma anche come “forma di rappresentanza dello psichico correlata all’incontro con un’altra mente” (Odgen, 2023). Ciò è potuto avvenire grazie ad una sintonizzazione affettiva con il paziente che ha permesso poi alla coppia analitica di accendere gradualmente le luci su un “passato non pensato e non elaborato”, lì dove il paziente non era riuscito ad entrare per timore dell’incursione di nuovi attacchi di panico.

Giuliana Rocchetti, discussant della serata scientifica, evidenzia come nel lavoro analitico si svolgono graduali e silenziose tessiture, tra luci e ombre, che possono avvenire solo in un clima di “consonanze emotive e fiducia”, cioè in un mondo degli affetti e delle presenze.

Rocchetti osserva che il lavoro analitico presentato da Boccara è stato “in grado di creare significato all’esperienza”, poiché l’analista è stato in ascolto di ciò che si svolge fuori, prima della rappresentazione, ovvero prima di una possibile narrazione: quello che possiamo definire come il “conosciuto non pensato” di Bollas, le “memorie senza ricordo” dei Botella o l’ “evento passato, ma non ancora sperimentato” di Winnicott, quella situazione in cui “il passato non ha ancora un presente e il presente non ha ancora un passato” (Ogden, 2016). La coppia analitica ha percorso quelle tracce intese come “elementi-beta, elementi non ancora trasformati, in attesa di una reverie, ovvero di una possibilità di poter essere sognati” (Bion), di avere un senso.

L’incontro affettivo tra analista e paziente ha permesso di accogliere un pezzo di storia che giaceva nelle memorie implicite, attivando possibilità trasformative.

In occasioni analoghe gli “eventi registrati possono assumere significato, essere collegati ad una trama temporale, di relazioni, affetti, essere investiti di sentimento (Levine, 2013). La “soggettività nascente” necessita dunque, di una situazione intersoggettiva per potersi sviluppare: essa è possibile anche attraverso una “distruzione riconcepita” per cui l’analista, sopravvivendo al sentirsi distrutto, permette al paziente di usarlo come oggetto, cioè come altro da Sé.

Rocchetti sottolinea la dimensione delle corrispondenze tra analista e paziente, dei “raggiungimenti” che riguardano le dimensioni inconsce della coppia analitica, delle emozioni e affetti consci/inconsci circolanti ma anche dell’intuizione, della “ricettività emotiva”, della “visione binoculare” dell’analista. Viene evidenziato come il punto di svolta del processo analitico descritto sia “ad un livello dove ciò che emerge nel qui ed ora della seduta non è definito/definibile come proveniente dall’inconscio del paziente o di quello dell’analista, né come la somma di entrambi, ma come qualcosa di nuovo che si crea in quel momento e che solo in quel campo analitico può assumere quelle forme emotive e di pensiero per poter trovare una significazione”.

Nel lavoro analitico è importante poter consentire un’oscillazione tra stati che rimandano a situazioni originarie, di unità, di matrice indifferenziata, di intercorporeità e stati di separatezza.

La discussione con la sala fa emergere una visione originale del modo di lavorare esposto attraverso il caso clinico, fatta di "gioco" e "potenzialità creativa".

In particolare vengono ripresi alcuni temi.

L’indifferenziazione fa pensare al Gruppo Romano sulla Fusionalità che ha messo in luce quanto la possibilità di soggettivarsi passi attraverso momenti di fusionalità, rottura, ri-sintonizazzione e riparazione. Fusionalità non intesa come una tappa evolutiva ma come un’esperienza che, auspicabilmente, il soggetto può risperimentare nell’intero corso della vita. Se pensiamo a fusione e indifferenziazione come stati della mente possiamo osservare come essi si rompano e si ritrovino più volte nel corso della giornata.

In una seduta possono coesistere simultaneamente più funzionamenti mentali e la relazione presentata mostra l’importanza della comunicazione affettiva della coppia analitica e di come il paziente può cogliere maggiormente l’aspetto espressivo dell'analista, comesi sente in sua presenza, piuttosto che le sue parole.

Boccara, citando Ferruta sul processo di soggettivazione, osserva che siamo soliti fare riferimento a quello che facciamo noi o altri significativi, sottovalutando che è il lavoro psichico che si insedia, lasciando noi in una posizione di sfondo, non intrusiva.

Il concetto di "matrice indifferenziata" di Loewald è, a suo parere, utile per mettere insieme la tensione emotiva soggettiva e la comprensione di poter avere nello stesso momento qualcosa che può passare da indifferenziato a differenziato, sia attraverso rotture che attraverso evoluzioni.

La serata scientifica si conclude enfatizzando che quando l’analista entra nella dimensione affettiva di ciò che sta avvenendo con il paziente aggiungendo anche suoi "personali elementi", stati non rappresentati della mente possono divenire rappresentabili.

 

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