Il titolo e il sottotitolo di questo recentissimo volume uscito alla fine del 2022, ne annunciano sia l’interesse del tema centrale, la cura psicoanalitica dei casi complessi, sia l’obiettivo di Alberto Sonnino di ‘lavorare’ e ‘far lavorare’ insieme i diversi aspetti della sua esperienza e della sua formazione, come dichiara il sottotitolo psichiatria e setting psicoanalitico.
È questo il fil rouge che mi sembra guidare il progetto del libro, dove costantemente troviamo i riferimenti teorici dell’Autore – e qui un altro fil rouge è rappresentato dall’opera di Freud – insieme alla sua esperienza clinica e alle riflessioni sulla tecnica.
Psicoanalista e Medico psichiatra nei servizi di salute mentale, Sonnino sembra quindi conoscere quanto sia importante e fecondo, e quanto non semplice, nel lavoro con i nostri pazienti – mi riferisco alla stanza d’analisi e al servizio pubblico, pur nella diversità della tecnica e degli assetti – lasciarci continuamente interpellare da ciò che ci si presenta, evitare scissioni del nostro pensiero, del nostro sguardo, e in certa misura del nostro operare.
Condividendo peraltro con lui questo tipo di esperienza, mi sembra di poter riconoscere in filigrana nel libro, in particolare nelle riflessioni e nelle proposte sul setting, anche i contributi provenienti dalla vita nei servizi, dal pensiero e dalla prassi sviluppatisi nei e per i servizi pubblici, spesso proprio grazie agli psicoanalisti che vi hanno operato e vi operano a vario titolo: a riprova, se mai ve ne fosse necessità, di uno scambio che avviene comunque e che sta a noi rendere proficuo.
Il volume, che si apre con una Presentazione di Claudio Neri ed una Prefazione di Giorgio Caviglia, è rivolto agli psicoanalisti, con l’obiettivo dichiarato di ricercare su alcuni «paradigmi che vorremmo porre alla base di una teoria della tecnica che non può non essere flessibile in quelli che definiamo casi complessi in quanto causa di una vera e propria sfida al lavoro analitico» (ivi, Introduzione). Tratteggiare quindi una sorta di mappa teorico-tecnica, proporre alcuni ‘punti di ancoraggio’ che Alberto Sonnino vede carenti nella letteratura psicoanalitica.
Lo fa attraverso argomentazioni teoriche sostenute sempre, con rigore, da citazioni tratte da una molto ampia bibliografia, e continuamente in dialogo con una generosa proposta di esemplificazioni cliniche.
Sotto l’aspetto teorico la proposta di “paradigmi” sembra porre Sonnino nell’area della opzione epistemologica – e penso al Kuhn de “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” (1962), ormai un classico dell’epistemologia – , mentre decisamente più distante appare da quella psicoanalisi ontologica, che tende al divenire più che al comprendere, guarda al processo più che alla struttura, e che pure ha grandemente ampliato – penso a Bion, a Winnicott, fino all’Ogden di “Prendere vita nella stanza d’analisi” (2022) – le prospettive al lavoro psicoanalitico. Alberto Sonnino ci propone sempre comunque la sua opzione con coerenza e rigore, mai con un pensiero rigido, anzi con quella flessibilità soprattutto nella teoria della tecnica, annunciata fin dall’inizio, in quanto resa necessaria dalla difficoltà di questi casi specifici. E afferma: «Ma, a prescindere dalle difficoltà, non vogliamo togliere nulla alla centralità teorica e tecnica dei concetti di neutralità e di transfert, utili proprio alla più efficace ricostruzione storica, sebbene diversi sviluppi del pensiero psicoanalitico, dalla psicologia del sé all’intersoggettivismo, abbiano posto l’interazione interpersonale al centro assoluto del lavoro analitico» (p.82-83).
Il volume è suddiviso in tre sezioni.
- La prima parte, ‘I casi complessi e le loro famiglie’ affronta il problema della definizione di ‘caso complesso’. Alberto Sonnino individua, come aspetto caratterizzante questi casi, il funzionamento simbiotico nelle relazioni familiari, la condivisione di un vincolo simbiotico, che deve mantenere lo statu quo anche a prezzo di una grave sofferenza di qualche membro. Qui l’Autore visita la questione del transgenerazionale, dell’istinto figlicida, del ‘segreto’, di come questi vincoli possano creare e trasmettere tenaci opposizioni inconsce al cambiamento, dunque al trattamento analitico, fino a volte a farlo fallire. Propone allora l’opportunità, mostrandone anche i rischi proprio attraverso un caso clinico, che l’analista incontri in certe situazioni anche i familiari, che si organizzi cioè un ‘intervento complesso’. Viene mostrato come l’incontro con i familiari possa, in alcune situazioni, stemperare le angosce persecutorie di questi nei confronti dell’analista, alleviarne i vissuti di colpa.
- La seconda parte, ‘La psicoanalisi tra relazione e ricostruzione’ è incentrata sulle questioni – che pure hanno accompagnato la psicoanalisi dalle origini – inerenti i temi della ‘verità storica’, della ‘verità materiale’, della realtà fattuale e realtà psichica, del trauma, di come concepiamo – e lavoriamo con – il transfert/controtransfert. Anche in questa sezione, fortemente collegata alla prima, è proposto il tema dell’incontro con i familiari, che può fornire contributi importanti alla ricostruzione della storia ma pure, ci mostra lo stesso Autore anche attraverso una illustrazione clinica, esporre il paziente – e aggiungerei, l’analista – all’incontro concreto con taluni ‘fantasmi’ o, potremmo dire riferendoci ad una teorizzazione diversa, con ‘personaggi del campo analitico’, che da quel momento non potranno più essere a disposizione come tali.
- La terza parte ‘Il doppio setting: psicoanalisi e psicofarmacoterapia’: in questi capitoli Alberto Sonnino analizza molto accuratamente i possibili significati che il farmaco può assumere all’interno della relazione analitica e ci prospetta (lo cito) “una lettura metapsicologica” del ruolo del farmaco. Parallelamente esamina la questione del doppio setting o viceversa la possibilità che sia lo stesso analista (cosa che interpella l’analista che sia anche psichiatra) a prescrivere il farmaco. In entrambi i casi l’Autore pone l’attenzione al transfert e al controtransfert, alla possibilità di scissioni del transfert, come pure all’utilità in taluni momenti di ‘diluizioni’ del transfert negativo; sottolinea l’importanza di un lavoro integrato tra i professionisti che seguono il paziente, apre a possibilità e propone riflessioni.
Ribadisce come ritenga comunque centrale che, infine, tutto venga riportato all’interno del setting analitico per poter essere utilizzato. L’ultimo capitolo è dedicato ad una esperienza specifica, molto interessante proprio sotto l’aspetto del setting, dei setting, che egli conduce nel ruolo supervisore di un gruppo di psicologi che, in necessaria comunicazione - nei modi previsti - con gli altri professionisti, accompagnano durante il percorso di cura persone trattate medicalmente con la Stimolazione Magnetica Transcranica, prevalentemente per situazioni di dipendenza da cocaina, in una collaborazione con il gruppo di Gallimberti.