Venerdì, Aprile 19, 2024

Soavi G.C., Deficit della struttura del «sé» e nevrosi ossessiva (deficit fusionale e struttura del sé). 1993

Pur essendo ben conscio della vastità del problema al quale mi accosto, sono altrettanto convinto che ogni cambiamento di prospettiva eserciti il proprio influsso su tutti i fatti che cadono sotto il rinnovato punto di osservazione. Anche la nevrosi ossessiva viene quindi raggiunta dalle considerazioni che prendono come punto di partenza la centralità del sé per quanto riguarda i problemi di salute e malattia mentale. Come è noto Freud (Freud S. 1909; 1913) nei suoi geniali lavori aveva collegato la sindrome ossessiva all'angoscia di castrazione ed alla regressione da una sessualità fallica di tipo edipico ad un erotismo anale che l'aveva preceduta nello sviluppo individuale. Per Freud le vicissitudini dell'erotismo anale rappresentavano l'elemento in grado di attivare i complessi meccanismi che caratterizzano la sindrome in questione. Per la Klein (1963) un edipo precoce si scontrava con una organizzazione della libido troppo debole. La battaglia dell'Io prendeva quindi inizio quando la fase sadica era al punto più alto. Si mettevano allora in moto attività sadiche e di controllo nei confronti dell'oggetto e del suo interno e veniva internalizzata una imago sadica che si organizzava nel Super-io precoce. I tentativi di riparazione delle devastazioni compiute si rivelavano inadeguati e dovevano essere ripetuti incessantemente. Entrambi gli autori sottolineavano l'importanza dei meccanismi di difesa più caratteristici di questo periodo: l'isolamento, lo spostamento, l'annullamento retroattivo, la formazione reattiva, la negazione e la sublimazione. Venivano anche evidenziate alcune caratteristiche del pensiero nelle sue funzioni, come quella di rifuggire dalla sintesi rifugiandosi nel dettaglio o, particolarmente da parte della Klein, l'insorgenza della epistemofilia quale funzione organizzante della mente.
Mi rendo conto che introdurre all'interno di questo sistema così ben congegnato e corredato da tanta casistica alcune supposizioni frutto di pochi casi adulti possa apparire azzardato, ma ritengo che qualsiasi osservazione condotta sui fatti meriti di essere discussa,
La tesi che intendo sostenere è che un deficit fusionale, del quale il bambino è stato vittima, per un periodo più o meno lungo, dal momento del suo ingresso nel mondo, debba essere considerato responsabile, almeno in parte, della comparsa di quel conteggio sintomatico che catalogheremmo come sindrome ossessiva, caratteriale o nevrotica.
Indagare sulla patologia e sulla struttura caratteriale degli adulti, individuare e mettere in evidenza le tracce di un deficit patito in età precoce (Markson e Thomson 1986; Lichtemberg 1986), appare un compito difficile. Le difficoltà sono di varia natura. In primo luogo ci si interroga se il trauma sia stato immaginario o reale, ma a questo proposito, sottolineo che in generale quello che ci porta sulle tracce di questo trauma non sono le denunce dell'interessato, ma il reperto delle cicatrici di cui è portatore.
Raramente la qualità del trauma o deficit patito è nella mente del paziente. Spesso rappresenta un compito arduo andare a snidare la fantasia del genitore o gli avvenimenti esterni che sono venuti a costituire la realtà impropria con la quale il paziente ha dovuto fare i conti.
Altro problema è quello costituito dal fatto che talvolta il deficit si è verificato in una prima fase dell'incontro tra bambino e accudenti, vedi per esempio solo durante l'allattamento. Spesso gli scontri si verificano al momento della nascita e durante le fasi di completa dipendenza durante le quali il genitore ha dovuto fare i conti con l'accettazione della separazione, con l'essere sostituito nelle sue aspettative infantili dal nuovo bambino, con il sesso del neonato che attivava problemi di gelosia o di tradimento proprio o del partner oppure rimetteva in moto angosce di disintegrazione della propria identità sessuale. Senza parlare poi delle eventuali ragioni di depressione del genitore attivatesi per cause esterne come morte di persone care, allontanamento del partner, perdita irrimediabile della possibilità di isolarsi e fantasticarsi, possibilità quest'ultima che il genitore è stato costretto volente o nolente ad accantonare.
Alcune di queste ragioni traumatiche possono persistere attraverso successive fasi di sviluppo coprendo con la loro ombra un lungo tratto di strada. Altre sono più circoscritte: problemi relazionali, che erano intensi durante l'allattamento, dove esisteva una difficoltà nell'accoppiare il nutrire ed il riscaldare emozionalmente e tutto era affidato ad una motivazione interna scarsamente concettualizzabile, sono attenuate nel periodo dell'educazione igienica dove i parametri sono esterni, riconoscibili e possono essere affrontati con efficienza senza bisogno di suggerimenti dall'interno. 
I traumi, invece, relativi all'identità sessuale ed al rifiuto tendono a protrarsi nel tempo. Inoltre sono da prendere in considerazione le responsabilità separate dei genitori che possono individualmente inviare messaggi che attaccano precisi momenti dello sviluppo come ad es. la fobia o l'iperinvestimento da parte del padre per il sesso delle figlie.
Poiché la mia proposta è quella di considerare l'importanza del deficit fusionale nella formazione e nel manifestarsi dell'organizzazione ossessiva, cercherò di mettere in evidenza gli effetti, visti negli adulti, operati dalla mancata offerta e da un'offerta in eccesso o viziata da parte delle figure genitoriali di un'esperienza fusionale o di oggetto sé fusionale, in coincidenza con le prime epoche della vita.
Per entrare nel merito della natura del deficit precoce è possibile dire che il bambino, nel caso di mancata offerta, si trova privato dell'esperienza di una «qualità» del rapporto che era in qualche modo predisposto ad incontrare. Quando questa aspettativa non si verifica al bambino rimane il dolore di un buco nell'esperienza e gli viene impedito di sapere e quindi di poter riconoscere la qualità di questo qualcosa tanto importante che non ha potuto incontrare.
La più immediata conseguenza delle mancate esperienze, di quel qualcosa che non gli è stato dato incontrare è l'indecisione e il dubbio davanti alle scelte. Nulla infatti sembra indicargli con certezza se la cosa che sceglie rivesta le qualità attese.
Altro corollario di questo mancato incontro è l'esperienza di essere stato rifiutato ed avere quindi una rappresentazione di se stesso come ripugnante; questa rappresentazione di sé va al di là della qualità degli impulsi o della colpa ma deve essere riferita a un senso profondo di indegnità collegata al rifiuto; questa esperienza tende continuamente ad affiorare malgrado i ripetuti sforzi per cancellarla. Il tono dell'umore corrisponderà al tenore generale di quanto sofferto e sarà tendenzialmente depresso.
Altro aspetto della sindrome è quello dell'attesa e per questo motivo si rimane con gli occhi rivolti nella direzione dalla quale si aspetta di veder apparire la cosa desiderata, cioè all'indietro, in una perpetua «recherche».
Questi sono alcuni dei punti sui quali è possibile lavorare. Alla relativa scarsità dei valori qualitativi corrisponde un'abbondanza dei criteri che prendono le mosse da valutazioni quantitative quali spazio, tempo, contiguità, opposizione, dovere, ecc. che caratterizzano la sindrome ossessiva. 
Altro uso, ugualmente, se non più, importante è quello fatto dall'organizzazione ossessiva non per recuperare un rapporto di cui era mancata l'esperienza ma al contrario per rimediare ai danni operati da un rapporto che era stato offerto in eccesso o a condizioni gravose. L'organizzazione ossessiva diventa quindi una modalità di cui si fa uso per mantenere l'integrità del sé, che tende a disgregarsi. A differenza dell'esperienza descritta in precedenza che mirerebbe a sanare gli effetti prodotti dalla mancata offerta di una certa qualità dell'esperienza, in questo altro caso l'esperienza fusionale sarebbe stata offerta in eccesso e a condizioni gravose quali possono essere quella di non crescere o di non rivelare il proprio sesso. In questa seconda eventualità il protrarsi del tempo in cui il trauma si è esercitato rende più probabili i rischi di disintegrazione del sé.
Una volta istituitosi il danno al paziente viene spontaneo ricorrere alle risorse che vengono offerte dalla fase successiva del suo sviluppo. Deve quindi essere presa in considerazione non una regressione, ma una progressione verso modalità di funzionamento che grazie alla loro organizzazione forniscono rinnovati strumenti di approccio alla realtà. Come già ho detto S. Freud, A. Freud e M. Klein ci hanno familiarizzato con lo sviluppo delle funzioni dell'io che maturano contemporaneamente con l'apprendimento del controllo sfinterico. I meccanismi di difesa sono noti. Altrettanto importanti sono le funzioni del pensiero come la curiosità epistemofilica, il linguaggio, la memoria ed infine la motilità; tutte facoltà queste che in una stessa fase maturativa vengono a mettersi a disposizione dei bisogni del bambino. Importante è la qualità dell'apporto degli accudenti che possono contribuire a una funzione correttiva e fare approdare il bambino ad una elastica strutturazione caratteriale.
Gli accudenti che sono in grado di fornire un attento rispecchiamento, almeno nella fase dello sviluppo intellettuale del bambino, saranno ancora in grado di esercitare una funzione integratrice. Risultati anche più soddisfacenti si ottengono se è presente la capacità di fornire una opportuna fusione con un oggetto idealizzabile. Nel caso che gli adulti ostacolassero la crescita intellettuale o fornissero solo un modello di uso inappropriato e grandioso delle funzioni del pensiero, anche questa opportunità di conseguire qualche stabile acquisizione sul cui aiuto poter contare andrebbe perduta.
Kohut (1977) si è occupato della strutturazione del sé degli ossessivi, anche se in modo non sistematico, quando offre l'esempio di Proust, uomo e scrittore. A questo proposito annota Kohut che la sua (di Proust) ricorrente attenzione ai processi del pensiero e alle funzioni del corpo e l'interesse per i nomi, soprattutto i nomi dei luoghi, e l'etimologia di questi nomi sarebbe parte del consolidamento del proprio sé.
Da quanto detto viene da considerare che la gamma dei disturbi ossessivi si attiva in seguito ad un fallimento empatico degli accudenti e non primariamente per mobilitazione di libido regressiva o per esplosione sadica e riparativa nei confronti del corpo materno.
La sintomatologia sarebbe da mettere in relazione con il tentativo di difendersi da varie forme di ansia e con la mancata costituzione all'interno del sé della capacità di orientarsi nel mondo degli affetti. 
Mancando questa capacità tutte le modalità relazionali vengono sconvolte; l'uso dell'oggetto e strumenti implicati diventano inappropriati fino al costituirsi della sintomatologia che siamo abituati ad incontrare.
Sarebbe stato mio desiderio offrire storie lunghe e dettagliate per documentare le affermazioni fatte, ma la cosa si è rivelata impraticabile e quindi mi limiterò a fornire qualche scarno particolare.
Presenterò per primo un esempio di caratterialità ossessiva che penso sia da mettere in relazione con una mancata offerta di oggetto sé (Tolpin 1986) verificatasi in modo sufficientemente caratterizzato fin dai primi mesi di vita.
Trattasi del primogenito di una madre di 19 a. Le sorelle dicono di questa madre che non chiedeva mai nulla per sé, vale a dire svaghi, oggetti o vestiti. Essa era inoltre molto schiva e selettiva nei rapporti umani e la sua principale occupazione era la lettura; ancora oggi viene considerata un carattere responsabile, ma freddo e che predilige la propria autonomia.
Questi elementi ricuperabili dall'anamnesi fanno presupporre la mancanza di una disponibilità calda, spontanea e gioiosa della madre durante i primi mesi della vita del figlio. La mamma non si sottrasse certamente alla lettera dei propri doveri, ma la qualità della sua partecipazione fu deficitaria per una impossibilità presente nella mente di lei a concedersi all'esperienza che stava attraversando. Difficile formulare in termini che non siano generici quale può essere stata la rappresentazione che la madre aveva di se stessa, ma si può inferire che essa non contemplasse l'eventualità di una rinuncia a una chiara demarcazione dei confini del proprio «sé», cosa che è invece necessario che si verifichi perché il bambino faccia le esperienze appropriate alle prime fasi dello sviluppo.
La caratterialità ossessiva che si andò costituendo nel paziente sembra rappresentare il tentativo di porre rimedio al deficit iniziale patito.
Non fu possibile tuttavia evitare uno sfondo depressivo dell'umore che era riconducibile all'esperienza di essersi sentito in qualche modo rifiutato e deprivato di un'esperienza in grado di vitalizzare, valorizzandoli, gli aspetti più elementari della percezione di se stesso. La mancata offerta di un caldo rapporto con la madre si organizzava in una ricerca e valorizzazione del freddo che si intrecciava con un immaginario ricco di raffigurazioni cimiteriali. In mezzo al folto materiale si poteva rilevare la continua tendenza a tenere il capo rivolto all'indietro con una ipervalorizzazione della memoria. Nei sogni e associazioni spesso comparivano remote frazioni di paese alle quali si arrivava percorrendo strade sterrate come se il paziente fosse continuamente in attesa di un'esperienza di intimo incontro che non si avverava mai.
La scarsità dei valori qualitativi veniva integrata da valori quantitativi. Tempo, contiguità, separatezza, volume diventavano criteri di valutazioni primari. Persino il valore delle letture e l'impegno sportivo venivano giudicati in base al numero delle pagine o allo sforzo che si richiedeva di compiere. 
Il materiale potrebbe moltiplicarsi, ma quanto detto mi sembra sufficiente per indicare la direzione della ricerca e dello sviluppo.
Le due storie successive sono caratterizzate da un'offerta abbondante di rapporto di oggetto sé. Tale offerta mette in crisi il paziente per due motivi: in primo luogo per l'abbondanza dell'offerta, in secondo luogo per le condizioni alle quali questa offerta viene fatta. In entrambi i casi la qualità degli strumenti ai quali il paziente ricorre per ridurre quanto possibile i danni patiti appartiene al repertorio che caratterizza l'organizzazione della realtà propria del periodo di apprendimento del controllo sfinterico. 
Figlio unico soffrì dall'adolescenza di crisi d'angoscia relative alla consistenza della propria integrità sessuale e psichica. A questa sintomatologia di base si aggiunsero rituali di controllo esercitati su interruttori, finestre, porte ed uno stato affettivo che si può definire depresso. Era presente anche un dubbio persistente in occorrenza delle scelte, di qualunque tipo esse fossero.
Una enfasi sulle funzioni mentali e sull'uso del linguaggio sembrò costituire un punto di orientamento importante in grado di contribuire al contenimento delle angosce di disintegrazione e alla preservazione di un senso di valore del proprio sé.
La nascita del paziente era desiderata vivamente dal padre che sembra nutrisse, nei confronti dell'erede, aspettative di una precoce autonomizzazione. La madre al contrario avrebbe preferito una femmina e si direbbe che non si sia sentita di attivare il proprio immaginario quel tanto da consentirsi di tradire col figlio, a livello inconscio, il marito, amato e temuto; ovviamente quel tanto che sarebbe stato necessario perché il figlio si sentisse riconosciuto per quello che era. Sembra che la madre avesse garantito al bambino un ampio regime di disponibilità e difesa dalle aspettative paterne purché questi non enfatizzasse il proprio sesso di appartenenza.
Pur da questi tratti schematici è possibile osservare le difficoltà che il bambino ha dovuto superare per contenere i danni e realizzare una soddisfacente funzionalità.
L'esperienza di rifiuto di una parte di sé poté essere considerata responsabile di un senso di mancanza di vitalità e di valore che ha trovato espressione nella sintomatologia depressiva.
L'esperienza di dubbio e di difficoltà ad affidarsi poterono essere ricondotte all'esperienza originaria istituitasi con un oggetto disponibile a concedersi, ma con la riserva che venisse rispettata una condizione inaccettabile. Tale esperienza istituiva un regime di oggetto primario ambiguo che ostruiva la scoperta e il riconoscimento di un oggetto buono e affidabile. Le angosce di disintegrazione vennero faticosamente contenute grazie all'esercizio ossessivo di simboliche funzioni di controllo messe in opera nei confronti di oggetti atti a rappresentare rischi di dispersione o attraverso somatizzazioni.
Infine un ultimo caso.
Figlia unica, ha dovuto fronteggiare il tentativo persistente operato da madre e zia di impedire alla bambina di acquistare la nozione di una propria identità in qualche modo diversa da come le donne di casa la volevano.
Ogni tentativo messo in atto dalla paziente di acquistare qualche competenza veniva ridicolizzato e fatto sentire inutile. La mamma e le zie, la nutrivano, lavavano, accudivano in ogni modo prevenendo i suoi desideri. La madre, quando la bimba era già in età scolare, allorché l'accoglieva nel proprio letto il mattino soleva metterla fra le cosce dicendole: «ma dove vuoi andare a stare meglio di come stai qui.
Qui hai tutto, puoi giocare, mangiare, dormire e indicando la propria pancia, hai un appartamentino per ripararti». Ai primi insistenti tentativi pre-adolescenziali di autonomizzarsi comparvero ansie di disintegrazione a carattere psicotico; le cose si allontanavano, le strade sembravano voragini. Per contenere le crisi di panico la paziente cominciò ad individuare punti fissi, punti di intersecazione fra le linee. Colori chiari che si opponevano a colori scuri. Vennero utilizzate cantilene senza senso in cui erano ripetute parole magiche come smacchiato, bianco, liberato, che sarebbero state in grado di tenere a bada il rischio di cecità, di cancro o dispersione nel cosmo. I riti di contenimento potevano protrarsi per ore.
In questo caso un'esperienza fusionale venne offerta dalla madre in eccesso e fatta pagare con un completo assecondamento della fantasia materna e familiare di perpetua infantilizzazione e controllo.
L'esperienza divenne apertamente traumatica per la bambina per il rifiuto degli adulti di dare ascolto ai tentativi maldestri di acquisizione di competenza e individuazione. Si direbbe che la fantasia che albergava nella mente della madre e dei suoi coadiutori fosse quella che, finché essi erano in grado di governare la mente della bimba, non avrebbero perso nulla dei loro poteri o che al contrario se essa avesse acquistato competenza e autonomia essi sarebbero stati relegati tra i rifiuti e dimenticati.
Il ruolo del padre non offriva un appiglio sufficiente perché la paziente potesse estrarsi efficacemente dalla trappola che le era stata tesa.
Nel primo e nel secondo caso presentato le qualità intellettuali e l'interesse per la conoscenza in generale erano divenute parte portante della struttura del «sé» ed erano fonte di stabilità e gratificazione.
Nel terzo caso invece l'uso del linguaggio e della mente avevano conservato modalità magiche in quanto anziché far parte di un processo di strutturazione sembravano operazioni abortive messe in atto attraverso un'identificazione con un aspetto della madre strega. Infine la congerie di impulsi e di operazioni relazionali incongrue potevano essere considerate non la causa ma la conseguenza del disastroso accudimento di cui la paziente era stata fatta oggetto.
Le ricerche condotte sui rapporti madre bambino sia in Italia (Giannotti A., De Astis A. 1989) che all'estero sono ormai numerose.
Meno numerose sono le ricerche svolte ad individuare all'interno dello stesso rapporto i problemi relativi alla strutturazione nucleare del «sé».
Ritengo che sull'argomento in questione il lavoro sia appena cominciato e per questo motivo mi dispongo ad offrire gli elementi raccolti anche se sono scarni e non riccamente documentati.
Penso inoltre che la migliorata valutazione delle difficoltà che il paziente ha dovuto affrontare aiuterà l'analista ad avvicinarsi a lui con uno stato d'animo di condivisione e partecipazione adeguato. La conoscenza della natura del deficit indurrà a studiare una strategia di intervento che rivolga l'attenzione alla qualità delle esperienze di cui il paziente ha patito la mancanza avendo come obiettivo di fondo la ristrutturazione degli aspetti del sé più deficitari.

Bibliografia
Freud S. (1909). Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (Caso clinico dell'uomo dei topi). O.S.F., 6.
Freud S. (1913). La disposizione alla nevrosi ossessiva. Contributo al problema della scelta della nevrosi. O.S.F, 7.
Giannotti A. e De Astis A. (1989). Il diseguale. Psicopatologia degli stadi precoci di sviluppo. Borla, Roma.
Klein M. (1950). La psicoanalisi dei bambini. Martinelli, Firenze, 1969.
Kohut H. (1977). La guarigione del Sé. Boringhieri, Torino, 1980.
Kohut H. e Wolf E.S. (1978). The Disorders of the Self and their Treatment: an Outline. Int. J. Psycho-Anal., 59, 413-425.
Lichtemberg J. (1986). Controversies about development. Givens and Experience. In A. Goldberg, Progress in Self Psychology (Volume 2). Guilford Press, London.
Markson E. e Thomson P. (1986). The Relationship between the psychoanalytic Concepts of Conflict and Deficit. In A. Goldberg, Progress in Self Psychology (Volume 2). Guilford Press, London.
Tolpin M. (1986). The Self and Self Objects: a different Baby. In A. Goldberg, Progress in Self
Psychology (Volume 2). Guilford Press, London.

 

Articolo pubblicato su Rivista di Psicoanalisi, 1993, 39(1): 31-41

 

Vedi anche

Lydia Pallier e Giulio Cesare Soavi. Psicoanalisi e vita (15 gennaio, 2022). Report di Mariaclotilde Colucci

Giovanni Meterangelis, Fusionalità e svolta relazionale. 2021

Lombardozzi A., Meterangelis G. (a cura di) (2021), Forme della fusionalità. Attualità del concetto. Franco Angeli.

In ricordo di Giulio Cesare Soavi, di Claudio Neri (2021)

In ricordo di Lydia Pallier di C. Busato Barbaglio (2020)

Report di Ada Cristillo e Elisabetta Papuzza su “Fusionalità - Storia del concetto e sviluppi attuali (23-24 marzo 2019)

In ricordo di Giulio Cesare Soavi. Video intervista a cura di Paolo Boccara e Giuseppe Riefolo (2012)

Giulio Cesare Soavi: "Precisazioni sulla psicologia del tennis", 1988

 

  

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