a casa sua il 13 aprile 2009 a cura della dr.ssa Carla Busato Barbaglio
Luciana Bon de Matte è una psicoanalista con funzioni di training. La incontro nella sua casa di Via Gherzi a Monte Mario dove molti di noi, o per lei, o per il marito Ignazio Matte Blanco, si sono quasi quotidianamente recati. Luciana Bon de Matte ha una lunghissima esperienza non solo di analisi degli adulti, ma anche di analisi di bambini e adolescenti e in entrambi i campi è stata una formatrice appassionata . L’intervista è stata una piacevole rivisitazione della sua formazione , delle sue idee su ciò che è la psicoanalisi e del sapiente impasto che lei fa tra vita, amore, professione, figli: una trama profonda di qualità di vita, base dello strumento psicoanalitico.
Sei venuta da un paese lontano:il Cile per vivere in Italia a Roma,con già un grande bagaglio di marito, figli e formazione .Quando è iniziata l’esperienza italiana e perchè?
Siamo arrivati con la famiglia nel 1966… Eravamo 9 persone , sei figli più una donna di servizio che è venuta con noi. Poi dopo quattro mesi ci ha raggiunto anche Andreita figlia di Ignazio.
Quando sono arrivata avevo già la formazione fatta in Cile e in Argentina. Ho studiato medicina e al quinto anno mi sono iscritta al corso di psichiatria. Io avevo fatto medicina per diventare psicoanalista. Avevo visto questa figura nei film dove apparivano gli psicoanalisti e mi aveva colpito quel modo di aiutare le persone. Fin da quando ero giovanissima avevo deciso che avrei fatto quello.
Mio padre voleva tutti i figli medici, ma solo io lo sono diventata Anzi una mia sorella è diventata dentista. In Cile le due formazioni erano distinte.
…Facendo psichiatria ho incontrato Ignazio Matte Blanco che era uno dei tre professori dei corsi in questa specializzazione, ma solo lui faceva psicoanalisi. Non lo conoscevo, ma non ho avuto dubbio nel sceglierlo. Avevo capito da lui che cosa era la psicoanalisi.
(Sorridiamo insieme nel “non aver avuto nessun dubbio nel sceglierlo” e questo offre una precisazione ancora più carina)
A fare quel corso eravamo moltissimi circa 80 .Ero finita in un gruppo in cui un suo assistente ci insegnava a fare osservazione su di noi…una sorta di precursore dell’analisi di gruppo. Ma questo assistente si innamorò di me. Per questo, per scrupolo, si rivolse a Matte Blanco che decise che era meglio che io uscissi dal gruppo perché l’assistente non era più in grado di lavorare. Mi chiamò per comunicarmelo e poi mi chiamò più volte ( a me sembrava che fosse una scusa per parlarmi)e un anno dopo ci sposammo.
E la tua formazione analitica?
L’analisi dovetti farla a Buenos Aires perché in Cile tutti gli analisti erano stati allievi di Ignazio e quindi non era possibile la facessi lì. Fu una grande fatica, ma anche una enorme ricchezza. A Buenos Aires ,infatti, feci un’infinità di corsi di formazione perché non lavorando, avevo più tempo a disposizione per studiare. L’Argentina però, rispetto al Cile, era carissima così sfruttavo al più possibile le mie permanenze lì, a volte con i figli a volte senza, per formarmi…A Buenos Aires c’era una grande varietà di proposte formative e un grande fermento culturale.
Ma come mai decideste di venire in Italia e come fu il vostro incontro con gli analisti italiani?
Ignazio amava l’Italia da sempre. Nei suoi dieci anni di formazione in Inghilterra veniva a passare l’estate in Italia … La formazione psicoanalitica di mio marito è stata in Inghilterra mi sembra per ben 10 anni, poi ritornato in Cile ha fondato la scuola di psicoanalisi
Prima di venire definitivamente in Italia, però abbiamo fatto io e lui un viaggio in Europa. Arrivati in Italia abbiamo trovato all’aeroporto ad accoglierci il professor Perrotti e poi abbiamo conosciuto il piccolissimo gruppo di analisti del centro di via Salaria forse 12 0 13 non ricordo (mi fa vedere la foto esposta anche nella segreteria del nostro centro che porta una dedica di Roberto Tagliacozzo datata 1967).
L’incontro con gli altri analisti è stato bello, siamo stati accolti bene e, dato che Ignazio come professore poteva partecipare a tutte le riunioni, abbiamo conosciuto molti analisti..Ricordo che a uno dei primi incontri sono stata bloccata dalla dottoressa più anziana, di cui non ricordo il nome. Non mi ha dato la parola per intervenire perché non ne avevo diritto. Per molti anni mi ha poi chiesto scusa ricordando quel momento.
Nel mio ricordo ciò su cui tutti erano più incuriositi erano i pareri sulla clinica. Ignazio in modo particolare aveva una sicurezza ed una elaborazione della clinica psicoanalitica che gli permetteva di insegnare.
Che cosa sentivi che stavi portando e che cosa hai preso da questo incontro ed esperienza nuova?
A mio avviso ciò che caratterizzava me e mio marito era la comprensione e il modo di utilizzare la psicoanalisi nel contatto con il paziente.
La mia esperienza era stata particolare… avendo dovuto fare analisi in Argentina le mie sedute settimanali erano cinque, poi anche sette tutti i giorni della settimana , poi in certi periodi anche due ore al giorno. Certamente c’era una forzatura in questo, legata al problema economico, al problema con i figli , ma era un’esperienza anche molto particolare rispetto alle quattro sedute settimanali che facevano i colleghi del centro. E’ stato come vivere un’esperienza più legata ai bisogni della persona, una pratica analitica che poteva anche creare difficoltà rispetto alle teorie.
Quello che io intravedevo appena arrivata qua in Italia era la difficoltà a distaccarsi dalla psichiatria per legarsi ai funzionamenti della mente delle persone, al loro spirito… spesso sentivo che c’era troppo legame con i sintomi, i farmaci ecc., la psicoanalisi in Argentina era una pratica molto diffusa, con molti gruppi di lavoro, movimenti con una loro creatività…
Ma anche il gruppo romano era positivo e ricco in modo particolare per il tesoro della persona che lo dirigeva ( Perrotti) con cultura, formazione ,sicurezza… anche se i gruppi erano piccoli con pochi allievi..
Poi è arrivata la Corti anche lei con la sua formazione fatta in Inghilterra e ha portato nuova ricchezza anche per la sua esperienza di analisi con bambini e adolescenti e anche Lussana aveva fatto una parte di formazione in Inghilterra. Anch’io venivo da una formazione nell’infantile fatta in Argentina.
Nella tua formazione quanto hanno contato certi pensatori e quanto la tua formazione nell’analisi dei bambini e degli adolescenti?
Freud è stato per me un punto di partenza a cui si è aggiunta la Klein e poi Bion…ma più che lezioni teoriche mi interessava il lavoro. Inoltre andavo spesso in Inghilterra a fare corsi e molti dei nomi importanti della teoria psicoanalitica passavano per casa, non per incontrare me , ma Ignazio, però era un arricchimento anche per me.
Che cosa diresti agli analisti dopo tanti anni di esperienza psicoanalitica di incontri e di studio?
Direi che la cosa fondamentale è il poter avere una cultura multipla nella quale possano essere compresenti più punti di vista per valutare e vedere. Avere un unico criterio impoverisce e non dà apertura ad esperienze nuove che ogni paziente propone. Se uno ha un criterio unico rischia di regolare tutto con quello e non si apre all’esperienza. Ogni paziente apre ad un mondo che se si è in grado di ascoltare arricchisce, se al contrario lo si condiziona, nel senso di selezionare quel pezzo dal tutto che corrisponde al tuo unico vertice, invece di allargare, come ho già detto, impoverisce.
L’ascolto vero del paziente obbliga a mettere in discussione lo strumento che si usa per poterlo aiutare veramente.
Tutto questo io ho avuto la fortuna di viverlo non solo nell’incontro con diversi criteri clinici ma anche nell’incontro di diversi modelli culturali, Cile, Argentina, Inghilterra, America,Italia e tutte queste situazioni sento sono state per me di un grande arricchimento.
Dei vari modelli teorici incontrati?
Importantissimi per parlare e riflettere e studiare tra noi ma il problema centrale rimane la capacità di ascolto del paziente..di poter ascoltare e sopportare tutto ciò che porta il paziente… Non si cambia la persona applicando le conoscenze che servono a te per pensare…Queste ci devono essere, ma per arricchire il proprio pensiero e la propria conoscenza.
Quanto ha contato la formazione e il lavoro con bambini e adolescenti?
E’ stata per me importantissima. Poter vedere in partenza come si vanno sviluppando le possibilità delle persone, le loro fantasie, l’intelligenza, la personalità.
Nel lavoro con i bambini piccoli, attraverso lo strumento prezioso che è il gioco, si entra nella conoscenza di come si sta sviluppando quel bambino o quell’adolescente che si trova non solo con la difficoltà del futuro, ma anche con un’infanzia ancora troppo vicina.
Queste esperienze di analisi consentono all’analista di muoversi nella comunicazione anche con il gioco, favorendo così una maggiore libertà di quanto le sole parole con l’adulto forniscano .
Questa ricchezza di analisi con bambini, adolescenti, adulti e anche persone più grandi di me, che già sono vecchietta, fornisce un importante strumento di lavoro che vale per ogni paziente e che poi diventa ulteriore arricchimento per l'analista.... e questo è fondamentale nella nostra libertà di movimento mentale per avvicinare quella persona che è sempre unica.
La ricchezza che uno ha, viene comunicata con le emozioni oltre che con la parola.
Che diresti agli analisti oggi?
Essere attenti non solo a capire i pazienti, ma in modo particolare essere attenti alle proprie limitazioni personali. Se uno ripeto, ha un tipo di convinzione che non gli permette, che non dà la libertà di seguire un determinato paziente, di mettersi in discussione e rinunciare a credenze o convinzioni sue, è meglio che lasci quel paziente a qualcuno che lo può aiutare meglio. E’ più opportuno e più onesto che quel paziente che crea tanta irritazione per esempio non pensabile, possa essere visto da un altro, proponendo al paziente una esperienza che va al di là di ciò che insieme si può fare.
E Ignacio Matte Blanco ?
(Mi risponde sorridendo ) Con lui ho imparato e vissuto giorno e notte.