Venerdì, Aprile 19, 2024

Problemi e questioni dell’identità di genere. Riflessioni a partire dal libro “Rotture evolutive” (26 febbraio, 2022). Report di Tiziana Gobbetti

L’evento della giornata si apre con la presentazione di Alessandra Balloni al tema dell’identità di genere, nell’interesse che raccoglie nella società odierna e come sfida, nella sua complessità, per gli analisti e i loro modelli. Lo spunto organizzativo parte dalla recente pubblicazione del libro di Anna Maria Nicolò, Rotture Evolutive (2021), con un capitolo dedicato all’argomento, a fondamento del suo intervento. L’introduzione è di Alfredo Lombardozzi e le altre relazioni sono di Massimo Ammaniti e di Sesto Marcello Passone, quest’ultimo in collegamento da Parigi.

 

 

Prende la parola Lombardozzi con il suo lavoro “Antropopoiesi dell’identità di genere: temute catastrofi e possibili riparazioni”, che presenta i processi di antropopoiesi alla base della formazione dell’identità di genere. Tali processi, descritti dall’antropologo Remotti (2002; 2013), si configurano come tensioni interne ad ogni cultura per la costruzione di forme di umanità con stili di vita differenti. Ogni cultura si confronta con il senso di incompletezza perché è spinta a continue trasformazioni che ne costruiscono i processi di formazione identitaria. Strategie antropopoietiche differenti, come assegnazioni di ruoli o forme di integrazione, riguardano anche le diversità nel campo dell’identità di genere. Fondamentale è la presenza di una tensione creativa da parte dei soggetti sociali, protagonisti dei processi di antropopoiesi che protegge dal rischio di “furori antropopoietici”, furori identitari che rendono una forma di umanità non trasformabile e statica.

Sul tema degli interventi chirurgici o dei trattamenti per la sospensione della pubertà, Lombardozzi riflette sul rischio di un eccesso di antropopoiesi, che potrebbe, da elemento di libertà, trasformarsi all’opposto in un processo di “naturalizzazione” o “reificazione”. Adolescenti e preadolescenti andrebbero aiutati ad affrontare e tollerare il senso del dubbio e della precarietà della propria formazione identitaria, non solo sul piano dell’identità di genere, per sostenere quel processo che li renda fluidi e soggetti di una trasformazione contro la costruzione di un’identità rigida.

 

 

La parola passa ad Anna Maria Nicolò per la relazione centrale della giornata, “L’enigma dell’identità di genere”, dove “enigma” sottolinea una posizione aperta agli interrogativi che il lavoro clinico sollecita su questo tema. Lo spettro delle identità di genere contempla una molteplicità di possibilità, entro cui occorre sapersi muovere: transgender, gender queer, gender fluid, agender, non binary o altro.

È fondamentale distinguere situazioni a carattere diverso. In alcuni casi si osserva l’evitamento di un nucleo psicotico che piega onnipotentemente la realtà alla fantasia con la formazione di soluzioni compensative a protezione di un potenziale crollo, una problematica dell’identità di base che può manifestarsi nella confusione di genere. In altri casi, più rari, è riconoscibile una massiccia influenza traumatica, individuale o ambientale, talmente precoce da avere influenzato l’insediamento della psiche nel corpo come forma di memorizzazione del trauma. Infine, ci sono casi in cui ci si trova in presenza di un’identità transgender, considerata da molti una variante normale dell’espressione umana, connotazione che ha ricevuto un riconoscimento progressivo in ambito scientifico e che ha portato alla destituzione di tale condizione come patologia e alla sua uscita dalla nosografia psichiatrica, come testimonia più recentemente anche il PDM-2 (Lingiardi e McWilliams, 2020).

Nicolò discute le diverse situazioni nell’esperienza clinica e di supervisione e ripercorre la letteratura psicoanalitica a partire da Freud (1923, 1929), che ha osservato la complessità della costituzione dell’identità di genere e la potenzialità della bisessualità psichica negli esseri umani, a Stoller (1968), che per primo ha distinto il sesso dal genere. L’Autrice segnala inoltre la necessità di rivedere alcuni concetti in psicoanalisi che gli studi e le osservazioni sull’argomento spingono a riformulare. Il senso connesso con l’identità di genere si presenta infatti come qualcosa di non stabile nel corso della vita e se esiste un nucleo originario per l’identità, ne siamo anche co-costruttori.

Le influenze culturali hanno un peso su questo processo e ad esse vanno aggiunte quelle biologiche e ambientali e quelle legate ai traumi evolutivi precoci. È importante non dimenticare il corpo come la nostra realtà più fondante, nella definizione di Freud di Io come “Io corporeo”, ma anche guardarlo come oggetto internalizzato, che Eglé Laufer (2002) descriveva come prodotto della relazione d’amore con la madre e immagine interna che si forma attraverso le esperienze sensoriali e le immagini che gli altri ci rimandano. Se è rischioso colludere con il diniego del paziente verso il proprio sesso, lo è altrettanto patologizzarlo, interpretando la sua identità come dissociazione tra il genitale e la sua rappresentazione psichica (Saketopoulou, 2014). In alcuni casi infatti la dissociazione si presenta tra due identità, una sentita apparente e l’altra più profonda e operare delle “transizioni” rappresenta un tentativo di ridurre questa dissociazione. È dunque di cruciale importanza saper comprendere e distinguere le diverse situazioni, per poter offrire degli interventi clinicamente ed eticamente appropriati.

 

  

Segue la relazione di Massimo Ammaniti dal titolo “Concordanze e discordanze nello sviluppo dell’identità di genere” in cui si guarda alla formazione dell’identità di genere attraverso tre snodi. Il primo snodo è quello biologico, il secondo si colloca nella prima infanzia, fino ai due anni e mezzo circa, e il terzo in adolescenza.

Un aspetto centrale del primo snodo sono le concordanze o discordanze nei processi di differenziazione gonadica e cerebrale nella vita uterina (Swaab, 2007). La differenziazione gonadica avviene tra la sesta e la decima settimana di gravidanza sotto l’influenza di geni e androgeni (presenti o assenti) per la formazione degli organi sessuali maschili o femminili. La differenziazione cerebrale riguarda invece la seconda metà della gravidanza, è influenzata maggiormente dai geni e mediata successivamente dal testosterone che determina la mascolinizzazione del cervello, mentre la sua assenza ne mantiene le caratteristiche femminili. Per le componenti di tipo ambientale vengono riportati studi sull’intervento inibitore della DNA transferasi (Mc Carthy e Nugent, 2015) che supportano il valore di influenze epigenetiche nello sviluppo, come ad esempio i traumi, e altri studi sull’impatto dello stress ambientale. Geni e ormoni influenzano anche la qualità delle interazioni genitori-figli nel primo anno di vita. Molte le differenze tra bambine e bambini sull’interesse per l’ambiente, preferenza dei giochi, regolazione delle emozioni e fonti di distress emotivo. Inoltre i genitori si comportano diversamente con figli maschi o femmine, influenzati dai comportamenti del bambino, mentre un senso più soggettivo del genere inizia intorno ai 18 mesi e si stabilizza verso i 3 anni. In ultimo vengono presentate le considerazioni di alcuni autori su potenziali influenze relazionali in fasi precoci dello sviluppo, come nelle dinamiche triadiche del riavvicinamento o nell’instaurarsi di un legame simbiotico madre-bambino che nega la separazione, con riferimento a madri depresse o narcisiste.

 

 

Ultimo della giornata, il lavoro di Sesto Marcello Passone su “Bisessualità psichica: sbocchi pluriformi nel gender”. Passone presenta l’identità come sessuata sia dall’anatomia che dal sessuale, indicando con quest’ultimo quanto transita all’interno delle relazioni intersoggettive e confluisce nel processo di soggettivazione stesso, in riferimento a un sentimento di identità vista come unità “plurale e polimorfa” (Morin, 2001). Teorizzazioni riduttive di questi disturbi, che diventano una categoria diagnostica solo se è presente una disforia, possono mostrare un valore contro-fobico rispetto alla bisessualità psichica, alla conflittualità che la specifica e ai fallimenti della sua organizzazione. Complesso è l’inquadramento teorico, soprattutto in età evolutiva, dove le fasi di sviluppo sono segnate da forme di dipendenza, legate ad una maturazione somatica incompleta e ai contesti familiari, educativi e di gruppo. Accade, in alcuni casi, che l’individuazione post-adolescenza resti incompiuta (Passone, 2013), con l’appoggio ad elementi culturali consonanti. Un’attenzione particolare è data al fantasma difensivo infantile dell’auto-generazione come fuga dai legami e dall’interdipendenza che annulla il “preistorico” del patrimonio genetico ereditato e lo “storico” del materno e del paterno con le sue differenze del maschile e del femminile, base per la formazione dei legami simbolici. Quando il lavoro di soggettivazione (Cahn, 2016) è evitato attraverso l’evitamento del lavoro sul bisessuale, con agiti, forme di scissione o di diniego, si perde l’effetto protettivo dell’angoscia di castrazione che mette un freno alla pulsionalità “slegata ed evacuativa”, richiamo all’indifferenziato e alla negazione della scena primaria. È il territorio del narcisismo distruttivo, dove angosce di intrusione, di perdita o di crollo danno luogo a reazioni fobico-ossessive proiettate sul corpo e nelle relazioni esterne, spesso in convivenza con parti più funzionali e adattate. La personalità psichica con i suoi oggetti interni, memorie e rappresentazioni è incompiuta, come il corpo è imperfetto rispetto al suo ideale, mentre la perfezione è un fantasma infantile illusorio che disconosce il significato della differenza tra i sessi, evita con il potere fallico l’angoscia di castrazione e ostacola la strutturazione edipica della mente. La disposizione bisessuale è aperta alle negoziazioni tra sessualità procreativa, di godimento e di relazione. Su questa negoziazione si innestano i surrogati tecnologici che possono essere al servizio di un’emancipazione oppure favorire gli evitamenti del lavoro di elaborazione della posizione depressiva imposto dai nostri limiti.

 

 

La discussione dei partecipanti e dei relatori riprende i temi proposti.

Alcuni partecipanti sottolineano l’importanza del lavoro di simbolizzazione per l’analista e le difficoltà in questo processo riscontrate con pazienti transgender. I relatori chiariscono che queste difficoltà, talvolta presenti, non hanno una specificità clinica, ma sono conseguenza della concretezza posta dal problema del corpo e si manifestano anche in altre condizioni in cui l’elemento somatico è messo in gioco in termini profondi.

Si discute inoltre sui fattori da cui prendono potenzialmente origine le diverse espressioni delle identità di genere, riconoscendo alla psicoanalisi un limite strutturale nella possibilità di indagarle, costituito dalle importanti influenze che i complessi sistemi biochimici esercitano nell’individuo, non ricostruibili e accessibili al lavoro analitico. Questo limite non esula tuttavia la psicoanalisi dalla necessità di rimettere in discussione i suoi criteri di osservazione per questi fenomeni, da articolare con una visione antropologica, neuroscientifica e neurobiologica.

I processi dell’identità vengono confrontati nel dibattito anche con forme e modelli del contesto culturale; dal concetto di “toti-potenzialità”, che richiama al tema delle indifferenziazioni, al mito dell’autogenerazione, alla biotecnologia che realizza desideri un tempo impensabili, ora osservabili e reali al di là di ogni posizione bioetica possibile. Questione delicata quella dei farmaci bloccanti la fase pubertaria (triptorelina), discussa come potenziamento della libertà di scelta e funzionalità rispetto al rischio suicidario, ma anche come limite alla libertà per decisioni non pienamente elaborabili da bambini di circa nove anni e per le problematiche mediche collaterali all’uso.

A conclusione della giornata Alessandra Balloni ringrazia relatori e partecipanti, facendosi portavoce della soddisfazione collettiva per la ricchezza delle discussioni, rese piacevoli ed efficaci da un allargamento dello sguardo ad altre discipline.

 

 

Bibliografia

Cahn R. (2016) Le sujet dans la psychanalyse aujourd’hui. Les chemins de la subjectivation. Paris, PUF.

Freud S. (1923) L’organizzazione genitale infantile. O.S.F., 9.

Freud S. (1929) Il disagio della civiltà. O.S.F, 10.

Laufer E. (2002) Il corpo come oggetto interno. Relazione presentata al Centro di Psicoanalisi Romano nel novembre 2002. [Le corps comme objet interne. Adolescence, 2005, 23, 2, 363-379].

Lingiardi V. e McWilliams N. (2020) PDM-2 Manuale Diagnostico e Psicodinamico. Cortina, Milano.

Nicolò A.M. (2021) Rotture evolutive. Psicoanalisi dei breakdown e delle soluzioni difensive, Cortina, Milano.

Mc Carthy M.M. e Nugent B.M, (2015) At the frontier of epigenetics of brain sex differences. Frontiers in Behavioral Neuroscience, vol.9, 221.

Morin E. (2001) L’identité humaine. Paris, Seuil.

Passone S.M. (2013) Argument. Finir d’adolescence. in Rev. française de psychanal. 2.

Remotti F. (a cura di), (2002) Forme di umanità, Bruno Mondadori, Milano.

Remotti F. (2013) Fare umanità. I drammi dell’antropo-poiesi, Laterza, Bari.

Swaab D.F. (2007) Sexual differentiation of the brain and behavior. Best Practice & Research Clinical Endocrinology & Metabolism, 21, 3, pp. 431-444.

Saketopoulou A. (2014) Il lutto del corpo come “roccia basilare” nel trattamento psicoanalitico di transessuali, Psicoterapia e Scienze Umane, 2015, XLIX, 1, pp. 7-36.

Stoller R.J. (1968) Sex and gender. New York, Science House; London, Hogarth Press.

 

 

Vedi anche:  

 

Alfredo Lombardozzi, Antropopoiesi dell'identità di genere. Temute catastrofi e possibili riparazioni. 2022 

Podcast, "L'enigma transgender". Paolo Boccara intervista Anna Maria Nicolò  

Alexandro Fortunato, Laura Porzio Giusto: "Quel che resta del DDL Zan" (14 dicembre 2021)

Vittorio Lingiardi, Nicola Carone, La disforia di genere. 2015

 

 

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