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Meterangelis G. - La Vergogna e le organizzazioni narcisistiche patologiche (2011)

“Rifugi della Mente – Processi di sviluppo”

Roma, 1-2 ottobre 2011

 

La Vergogna e le Organizzazioni narcisistiche patologiche

G. Meterangelis

Una delle più comuni distinzioni  fra colpa e vergogna, emozioni spesso associate fra di loro, è quella relativa alla differente percezione soggettiva sperimentata: ci si sente in colpa per qualcosa che si è fatto in termini di trasgressione, e ci si vergogna per come si è.  Mentre l’area di indagine della colpa riguarda i complessi rapporti del SuperIo con le altre Istanze, quella della vergogna riguarda la sua origine narcisistica: l’eccessivo investimento sul corpo e l‘ incapacità e debolezza del  sé.  Aspetti questi che, quando consci, vengono difficilmente verbalizzati, e quando inconsci, di solito, sono protetti da rigide difese. La vergogna fa parte di un’ampia famiglia di affetti, alcuni di chiara marca negativa come l’umiliazione, la mortificazione e l’imbarazzo, altre meno dolorose ed in qualche modo funzionali al mantenimento e all’integrità del sé ed alle sue relazioni, come la timidezza, la riservatezza ed il pudore. Poiché i confini fra questi affetti è vago, avendo la tendenza a sovrapporsi fra di loro, ed a collocarsi su di un continuum che va dal più penoso al più socialmente accettato, sarebbe opportuno descrivere una loro fenomenologia, cosa che non solo risulterebbe noiosa, ma che ci porterebbe lontani dal tema in discussione. Più opportuno, invece, è descrivere la fenomenologia della vergogna: il più delle volte  induce inibizione e tendenza al  ritiro sociale;  chi la sperimenta  cerca di occultarla “per evitare ciò che viene visto o colui che vede”(Wright 1991); inoltre  dà l’impressione di non avere una relazione diretta fra l’evento che l’ha scatenata e la reazione  vissuta, in quanto ha la tendenza ad amplificare quelli che si considerano aspetti non accettabili del sé; induce intense reazioni somatiche che tendono a rivelarla; inoltre è di difficile elaborazione avendo  anche la propensione a prolungarsi negli anni ed a suscitare le stesse reazioni anche dopo molto tempo che la si è sperimentata. E’ sicuramente una emozione molto penosa, ed è forse questo il motivo per cui è  la prima  ad essere descritta nella Genesi (Libro Terzo) quando Adamo ed Eva, a ragione della rottura del loro legame fusionale con Dio, riconoscono la loro nudità e se ne vergognano cercando di coprirsi. Masaccio, nella splendida raffigurazione della Cacciata dal Paradiso Terrestre, dipinta nella Cappella Brancacci a Firenze, ci descrive Adamo che  copre  il proprio volto con le mani,ed Eva che nasconde i suoi genitali, quasi l’ Artista abbia voluto  sottolineare i modi diversi con cui l’Uomo e la Donna vivono la vergogna, che  a ragione del suo carattere scatenante, spinge ”verso l’integrazione dell’identità individuale e sessuale”.(Janin, 2002). Anche la psicoanalisi delle origini si occupa della vergogna: le prime formulazioni freudiane su questo affetto oscillano fra due polarità teoriche: la prima fa riferimento alla vergogna come difesa da impulsi di natura esibizionistica e\o voyeristica, la seconda, invece, fa riferimento alla vergogna come emozione attivata dalla sguardo dell’altro. Nella  prima formulazione la problematicità di questo affetto viene collocata all’interno del modello teorico   pulsione\difesa, nell’altra polarità, invece, viene privilegiato il modo con cui  sentimenti di umiliazione ed imbarazzo vengono occultati. La maggior parte di queste formulazioni,   si ritrovano, prevalentemente,  negli scritti che precedono l’ ipotesi sulla teoria strutturale. In una lettera a Fliess (1892-1899) mette in relazione la vergogna con la moralità ed il disgusto, e la ritiene responsabile della rimozione di pulsioni sessuali inaccettabili. Negli “Studi sull’Isteria”( 1895), scritti con Breuer la vergogna viene considerata alla stregua di un evento traumatico e  attivatrice di sintomi.  Nel caso di Dora(1901) , la vergogna gioca un ruolo essenziale oltre che nelle vicende biografiche della paziente, anche nel fallimento della relazione terapeutica e nella comprensione del fenomeno transfert. Nella Interpretazione dei Sogni (1899)Freud parla dell’imbarazzo che si sperimenta nei sogni il cui contenuto attiene alla propria nudità e al conseguente desiderio di nascondersi o scomparire senza riuscirci. Al riguardo commenta:”Solo durante la nostra infanzia è esistito un periodo in cui eravamo visti mezzi nudi senza che provassimo vergogna per la nostra nudità. Questa infanzia che ignora la vergogna appare più tardi al nostro sguardo introspettivo  come un paradiso, ed il paradiso stesso non è altro che il fantasma collettivo dell’infanzia di ciascuno”. Sembra in questo passaggio volere quasi anticipare un legame fra il non ancora teorizzato narcisismo e la vergogna . Nei “Tre Saggi” (1905) ritorna a considerare la vergogna, la colpa ed il disgusto come affetti che si sviluppano sia in risposta allo sguardo dell’altro che come difesa nei confronti di pulsioni parziali.  Legando la vergogna suscitata dall’ esibizionismo e dalla scopofilia con gli ideali promossi “dall’etica e dall’estetica”, getta le basi per la concezione dell’Ideale dell’Io, che Freud svilupperà nell’Introduzione al Narcisismo(1914), e  che farà “confluire” nel  SuperIo  della teoria strutturale del 1922.  Con “Introduzione al Narcisismo” e con la teorizzazione  dell’istanza Ideale dell’ Io, il tema della vergogna, nelle Opere di Freud, tenderà, se non a scomparire, ad  essere trascurato, per lasciare il posto alla costruzione di una metapsicologia della colpa.

Bisognerà aspettare il 1971, e quella che è stata definita “Età del Narcisismo”, per vedere la pubblicazione di due lavori, quello della H. Lewis e quello di H. Kohut, sul tema della vergogna, che facendo una distinzione fra i fenomeni psichici che danno origine alla colpa e alla vergogna,  sottolineano, chiaramente, la relazione di quest’ultimo affetto con il narcisismo e con il sé nella sua totalità, inoltre considerano la vergogna un affetto ubiquitario, rintracciabile in molti ambiti del vivere umano, cosa che  non significa necessariamente che  questo affetto, seppure doloroso,  debba essere collegato a qualsiasi forma di patologia.

Una sua definizione e una  maggiore comprensione di come questo affetto si sviluppa, e  qual’ è il  suo ruolo nello sviluppo normale e patologico, può renderci edotti della sua partecipazione alla formazione delle gravi patologie narcisistiche.    

 Schore (2003),   ritiene che  vi siano: “numerose prove a sostegno della comparsa della vergogna durante la prima infanzia, ovvero nella fase di sperimentazione individuata dalla Mahler come una sottofase del processo  evolutivo della separazione-individuazione (dagli 8-12 mesi ai 16-18)”. Ci sarebbe, quindi, una vergogna originaria alla quale il soggetto darà un senso quando riuscirà a legarla ad una rappresentazione rendendola riconoscibile sensorialmente ed emozionalmente come affetto ( Broucek, 1982, La Scala, Munari, 1995). 

 Verso gli otto mesi circa di vita, il bambino sperimenta ciò che è stata definita come “l’angoscia dell’estraneo”, la presenza di un oggetto che minaccia il mondo fusionale vissuto con la madre. Ma l’estraneo non è solo fonte di angoscia,questi può rappresentare anche la spinta ad attivare il primo processo di separazione-individuazione. L’estraneo, pertanto,  diviene, al contempo,  oggetto di curiosità e fonte di angoscia per il bambino a ragione del suo sguardo “indagatore”. Il bambino che distoglie lo sguardo è il bambino che si vergogna perché il suo mondo fusionale è minacciato dalla presenza dell’estraneo che ha una qualche relazione con la madre, relazione dalla quale lui è escluso. Questa  può essere considerata un precursore della scena primaria dalla quale il bambino della fase edipica si sentirà tagliato fuori.(Seidler, 2000). J. Steiner(2006), riprendendo una comunicazione personale di Britton (1989), descrive uno spazio triangolare nel quale il bambino che si relaziona con un oggetto primario , “scopre” l’esistenza di un oggetto secondario percepito come giudicante,che gli  suscita vergogna. Spesso ciò che procura vergogna sono gli stessi occhi della madre che viene identificata con l’osservante.

Altri Autori, partendo dalle considerazioni di Winnicott e Kohut sulle prime fasi dello sviluppo, ritengono che il sé del bambino nell’ingresso in questa prima fase di individuazione, se ha potuto sperimentare con successo precedenti  stati di fusione con una madre onnipotente (Neri-Pallier-Petacchi-Tagliacozzo-Soavi,1990), esibisce al care-giver stati di esaltazione, eccitazione, gioia, ipervigilanza , grandiosità ed investimenti narcisistici , che se vanno incontro ad una mancata sintonizzazione affettiva da parte della madre,  determinano improvvisamente una riduzione dell’ipereccitazione esibita, che genera sorpresa ed umiliazione. L’interiorizzazione di questa relazione oggettuale sarebbe alla base dell’esperienza della vergogna. In altri termini questa insorge quando le aspettative del bambino di incontrare “il luccichio negli occhi della madre “(Kohut 1971) vengono meno, lasciando il posto ad uno stato di disattivazione. Nonostante vi sia una precocità di insorgenza della vergogna rispetto ad altre emozioni, tanto da essere considerata “la prima emozione sociale” (Scheef 1988),  per insorgere necessita che ci sia una  parziale consapevolezza di sé, “quando cioè la differenziazione dei confini sé-altro non è completa,  ed emerge quando la prima modalità di relazioni oggettuali favorisce l’introiezione piuttosto che l’identificazione come modalità di interiorizzazione” (Spero,1984 Cit. da Munari La Scala 1995)

La vergogna, da un punto di vista evolutivo, ha anche una funzione di autoregolazione,  modellamento e socializzazione  del sé in quanto “produce interruzioni nella delicata omeostasi dell’organismo” (Nathanson 1987): esiste, pertanto, una vergogna che è possibile definire regolata ed una vergogna subita e non regolata (Schore 2003). La prima ha funzioni prevalentemente adattative, la seconda è l’affetto devastante della psicopatologia narcisistica. Dagli studi di Tomkins (1963) sugli affetti innati, la psicologia evoluzionistica ha postulato che tutte le emozioni possono avere una funzione adattiva, ad esempio, la vergogna può essere attivata  tutte le volte che il bambino si dimostra non in grado di inibire la sua eccitazione o i suoi tentativi esplorativi, con la funzione di proteggere il suo sé nascente, in seguito con lo sviluppo, la vergogna può comunicare resa e necessità di ripristinare una relazione,  cosa che ha lo scopo di  favorire la socializzazione. La vergogna,inoltre, collabora alla formazione di un sentimento di unicità ed individualità facendo sperimentare al bambino la sua separatezza. Piccole ed inevitabili dosi di vergogna possono aiutare i processi separativi fra il sé e l’oggetto amplificando sia la consapevolezza della separazione che una maggiore capacità autosservativa. (Broucek ,1982; Tomkins 1963).  Kohut (1971) scrive:” sottili (subliminali) segnali di vergogna giocano un ruolo fondamentale  nel mantenere un equilibrio narcisistico omeostatico.”.  Munari e La Scala (2003) riconoscono alla vergogna la funzione di emozione oscillante fra l’identificazione e l’ introiezione, e quindi “la capacità di differenziare…..l’Io in relazione al pericolo di una fusione Io- Altro o al riconoscimento di un’intrusione dell’Altro nell’Io”. Questa oscillazione della vergogna fra il sé e l’altro viene anche utilizzata, come un regolatore di distanza all’interno della relazione, quando il pericolo della vicinanza con l’oggetto viene percepito come una perdita di identità (Pandolfi 1993). La fenomenologia  della vergogna può essere espressione sia della coscienza che dell’inconscio. Se dalla vergogna regolata e conscia ci si difende, prevalentemente, cercando comprensione nella relazione o  con l’occultamento, le modalità inconsce di protezione dalla vergogna sono molto più pervasive e difficili da individuare

La relazione fra disturbi narcisistici e vergogna,  segnala due questioni, la prima riguarda  la considerazione che la vergogna è l’ affetto centrale in questi disturbi, e la seconda che  questa, è la causa dei disturbi stessi. La  vergogna, vissuta come evento traumatico, è quella responsabile delle patologie narcisistiche. La si può riferire al non rispecchiamento,  da parte di una madre onnipotente e con bisogni narcisistici, “di un sentimento di grandezza infantile apertamente manifesto”(Kohut 1971). Questo sentimento, respinto e frustrato,  non ha la possibilità di tramutarsi, a causa della vergogna rimossa ad esso associata, in forme di narcisismo più mature ed accettabili. Inoltre, ad accrescere la vergogna, in molti pazienti inclini a questa, vi è sia la rappresentazione di una madre che ha avuto una relazione esclusiva con loro, esclusività che induce a fantasie relative all’avere procreato il figlio senza la partecipazione del padre, il quale, viene, al contempo, umiliato e svalutato (Green, 1982, Mollon 1993), e  la percezione di non sentirsi all’altezza delle aspettative materne.  

La natura narcisistica della vergogna  é rivelata, anche, dalla compromissione del corpo con le sue manifestazioni vegetative; corpo che viene declinato sia nella sua forma di oggetto: ( c’è qualcosa nel mio aspetto fisico che mi differenzia dagli altri e che è causa di derisione da parte dell’Altro, al cui sguardo non posso sottrarmi), che come corpo “essere nel mondo”, che attiene principalmente al sé e alle sue percezioni: sentirsi misero, svalutato, indegno, fragile. 

 In analisi queste tematiche, il più delle volte,  si presentano  attraverso fantasie di “mostruosità “ e di “indegnità”, ostinatamente occultate, che, ad esempio, nei sogni trovano una loro espressione attraverso immagini che riportano ad “un bambino fatto di feci ed urina, gettato nella spazzatura, un mostro del Cottolengo, e così via” (Pallier,1990). Rosenfeld in Impasse and Interpretation (1987) fa riferimento ad un analogo problema, quando sottolinea il fatto che alcuni pazienti narcisisti comunicano la percezione di sentire qualcosa di difficilmente verbalizzabile, che non può essere ricondotto alla aggressività,  che deve rimanere necessariamente nascosto, e che con molta probabilità si deve riferire a queste tematiche e  alla vergogna ad esse associata. Inoltre queste rappresentazioni si presentano contigue e, a volta, sovrapponibili (Pallier, Soavi, 2011). Il sentirsi del paziente al contempo “brutto e\o cattivo” pone  all’analista,  problematicità collocabili al confine fra “estetica ed etica”, cioè problematicità che attengono al contempo al campo del relazionale ed a quello dell’ intrapsichico. Se  le problematiche estetiche, “il sentirsi un mostro”, pongono in primo piano la funzione ed il ruolo dello “sguardo dell’Altro”, quelle etiche “il sentirsi indegno”, ne sono una conseguenza, in quanto pongono all’attenzione del clinico tematiche relative al mancato riconoscimento e rispecchiamento di bisogni narcisistici. Entrambe queste problematiche possono portare  ad un crescente sentimento di vergogna per questi bisogni sperimentati e non corrisposti, vergogna che nata in un contesto intersoggettivo in seguito a processi introiettivi diviene una funzione intrapsichica.  L’ Altro, quindi, è presente sia nella sua realtà fattuale che come oggetto interiorizzato, cosa che rende non determinante “essere visti veramente” per provare vergogna ( Morrison 1989), Altro che a volte viene identificato con il corpo ( Green, 1982)  che diviene  padrone assoluto e unica fonte di vergogna, come è spesso osservabile nelle patologie adolescenziali. Ed è in questo contesto di introiezioni di  scambi relazionali, cioè il vedersi con gli occhi dell’ Altro, che la vergogna diviene parte integrante nella formazione della patologia del sé.

Questa  vergogna sperimentata come evento relazionale traumatico, in quanto inconscia, può, nei pazienti con patologia narcisistica,  attivare difese molto rigide, come il diniego, la dissociazione e la costruzione di strategie protettive come “ i rifugi della mente” (Steiner 1993, 2006),utili a preservare il sé da sentimenti di impotenza, abbandono e vergogna. Queste difese, se non riconosciute, anche per lunghi periodi di tempo, possono  impedire sia  la  comunicazione di tematiche consce  attinenti a fantasie o comportamenti perversi, sia  impedire la simbolizzazione dell’esperienza traumatica stessa in forma di linguaggio comunicabile. A volte, ad esempio, la dissociazione può presentarsi con i caratteri della “scissione verticale” di cui ci ha parlato Kohut (1971) , che può in alcuni casi presentarsi con due rappresentazioni diverse del sé, una improntata ad aspetti di stampo prevalentemente impulsivo-maniacale, l’altra improntata a sentimenti depressivi di autosvalutazione carichi di vergogna, che in alcuni casi possono portare ad atti autolesionistici o al suicidio. Queste rappresentazioni il più delle volte si manifestano con oscillazioni che possono far pensare alla fasicità di un disturbo distimico o bipolare, e hanno la caratteristica di occupare il campo della relazione escludendosi vicendevolmente.

Freud (1915) in Lutto e Melanconia ci ha avvertito del fatto che non tutte le forma di depressione devono essere ricondotte alla perdita dell’oggetto, o meglio, che l’oggetto non deve essere esclusivamente identificato con una persona, ma che la perdita può riguardare situazioni diverse come “umiliazioni, offese, delusioni, etc”. Vi è in questa raccomandazione l’intuizione dell’esistenza di una depressione non solo oggettuale, ma anche narcisistica. Da qui parte Kohut per analizzare pazienti con disturbi narcisistici di personalità, arrivando alle stesse considerazioni di Bela Grunberger sull’ipotesi dell’esistenza di due linee separate di sviluppo, quella libidico- oggettuale e quella del narcisismo, che  da forme più arcaiche evolverebbe in forma più mature. Squilibri in quest’ultima area fanno oscillare questi pazienti in uno spettro che va dall’eccitamento, espressione di una grandiosità difensiva, ad una grave ipocondria, vergogna e depressione. Una possibile spiegazione del perché sentimenti che hanno a che fare con la scarsa autostima e con la percezione di una difettualità si accompagnano sempre alla vergogna, è da rintracciare nell’ ipotesi che vede l’autostima, la vergogna e la  depressione come prodotti della relazione esistente  fra l’Io e l’Ideale dell’Io, o fra il sé come è percepito nella sua attualità e il sé ideale, vergogna che comparirebbe quando dopo aver messo a confronto queste strutture con i loro scopi se ne evidenzia il fallimento. Ipotesi, questa, che riporta alla  relazione fra vergogna ed Ideale dell’Io e alla loro importanza nella formazione del SuperIo, ed a quella che è stata definita una delle funzioni principali di questa istanza, ovverosia, il mantenimento dell’equilibrio narcisistico (Tyson e Tyson, 1984). Questo si manifesterebbe attraverso la regolazione da parte dell’Ideale dell’ Io degli affetti narcisistici che stanno alla base della stima di sé. Alterazioni di questa funzione di regolazione  del SuperIo si ritrovano nei disturbi dell’umore così come nelle organizzazioni narcisistiche dove l’autostima e le sue costanti oscillazioni rappresentano un aspetto patognomonico.    

Un’altra manifestazione che tende a difendere il sé dalla vergogna è la rabbia . Questa si presenta come un bisogno incoercibile di vendicare un torto vissuto, come una ferita narcisistica allo sviluppo affettivo del sé, che ha generato un profondo senso di umiliazione (Kohut, 1971). Molte volte la rabbia si presenta in forme più sottili, ad esempio attraverso il sarcasmo o l’ironia, ed ha la funzione di far provare all’Altro il senso di umiliazione e vergogna che si è sperimentato. Era stato già sottolineato il dato  che la rabbia, nello sviluppo,  interferendo “con la capacità del bambino di mantenere l’immagine interna dell’oggetto buono durante l’assenza della madre” (Winnicott, 1958) gli impedisse  di raggiungere la capacità di essere solo. E’ stata data, invece, minore attenzione, al ruolo svolto dalla vergogna nel determinare un “deficit nella capacità di internalizzazione” (Spero  1984) di buone funzioni materne, questa incapacità include la percezione di essere solo senza il ruolo di sostegno e di conforto svolto dall’oggetto, ruolo di cui si avverte l’assenza nei momenti di frustrazione e di rabbia.  Nelle patologie narcisistiche a volte la rabbia tende a presentarsi in forma cronica. La convinzione di essere vittime della “cattiveria del mondo”, annulla la consapevolezza della vergogna che ha generato la rabbia. L’ inconscia negazione del legame esistente fra la vergogna e le percezioni di indegnità, rifiuto e  fragilità del sé che questa induce, si può manifestare, clinicamente, attraverso una trasformazione di questi sentimenti in fantasie attive di trionfo narcisistico sull’oggetto, fantasie che il più delle volte generano colpa. Molto semplicemente  “gli uomini preferiscono sentirsi colpevoli piuttosto che deboli”(Guntrip, 1968),  in quanto la colpa ha maggiori capacità riparative rispetto alla vergogna e  pone,altresì, chi la sperimenta in una condizione di minore dipendenza dall’oggetto.

Secondo  Janin (2002) il destino della vergogna è duplice: da una parte si trasforma in colpa  , appunto con un rivolgimento della passività in attività, “l’oggetto mi ha lasciato perché sono stato cattivo”, dall’altra si lega alla sessualità infantile sino alla rimozione del periodo di latenza, quest’ultima si attiverà quando il bambino occupato nell’esplorazione o nel gioco con i suoi genitali, incontrerà le reazioni negative del genitore che guarda con disapprovazione o ansia (Amsterdam e Levitt, 1980)   

 La vergogna  è stata considerata una delle maggiori fonti dinamiche, consce ed inconsce, di resistenza all’analisi (Stoller, 1978), così come le è stata attribuita la responsabilità sia di molte interruzioni in analisi che  della richiesta di rianalisi, quando il paziente ritiene che la sua problematica è stata o non riconosciuta o sufficientemente non analizzata ((Lewis, 1971). La vergogna nella relazione analitica è inevitabile. Le condizioni stesse del setting: la posizione sdraiata sul lettino o quella del vis a vis, l’invito alla regola fondamentale delle libere associazioni, che è in realtà anche un invito a non vergognarsi, le stesse interpretazioni sia transferali che extratransferali, possono indurre sentimenti di vergogna in quanto non solo svelano ciò che è inconscio ma, come nelle interpretazioni di transfert, riportano eventi del passato alla situazione attuale della relazione analitica (Wurmser, 1981).

L’insight, è sicuramente una delle principali cause del ridimensionamento della vergogna durante il trattamento analitico, ma non è sicuramente l’unica. La vergogna viene mitigata, di solito, dal semplice fatto di essere verbalizzata, per questo la neutralità analitica gioca un ruolo importante nel dare al paziente la possibilità di parlare dei suoi vissuti. Un atteggiamento tollerante, improntato ad accettazione ed empatia, può facilitare la rimozione degli ostacoli che si oppongono alla comunicazione di vissuti di vergogna. Ma allo stesso tempo , anche un atteggiamento eccessivamente amichevole ed incoraggiante, può essere percepito come paternalistico e rinforzare quelle difese contro la vergogna a cui prima facevamo riferimento.

Poiché nelle organizzazioni patologiche narcisistiche, la vergogna è parte integrante di molte esperienze infantili, questa necessariamente farà parte delle dinamiche transferali e controtransferali, diventando allo stesso tempo anche un affetto dell’analista sia per l’azione dell’Identificazione Proiettiva, sia perché il paziente che ha vissuto intense reazioni di vergogna acquisisce, di solito, la capacità di cogliere quelle che possono essere le aree di vulnerabilità narcisistica dell’analista  ed interagire con queste, inducendo l’analista a confrontarsi con la sua stessa vergogna. Oltre a ciò, a suscitarla possono concorrere, ad esempio, le eccessive richieste di vicinanza di un paziente, o le, a volte, inevitabili contravvenzioni alla regola della neutralità, o le, anche queste inevitabili, empasse analitiche, così come l’attivazione di RTN o di transfert erotici o negativi.           

Bromberg (2009), inoltre, sostiene che il parlare di esperienze traumatiche, e degli affetti che a queste sono associate, attivi nella relazione analitica una intensa esperienza di vergogna dissociata nel qui e ora, utile a preservare il legame con l’analista. Questa dissociazione, il più delle volte, è attivata dalla mancanza di consapevolezza da parte dell’analista che rendere vivo ed attuale il trauma è anche fonte di accresciuti bisogni nel paziente di funzioni di calma e rassicurazione. Bisogni che non vengono, il più delle volte, verbalizzati, in quanto dissociati con l’affetto vergogna. Questa dissociazione è determinata dal fatto che  l’analista che dovrebbe corrisponderli è lo stesso che ha riattivato gli intensi affetti destrutturanti, diventando al contempo la causa della sofferenza e l’oggetto del sollievo. L’ accresciuta “fame” di bisogni e la vergogna  non vengono  verbalizzate “direttamente”, ma possono essere comunicate spingendo l’analista ad enactment ripetuti, fino a quando, questi, non sarà sufficientemente in grado di porre attenzione ai tentativi che il paziente sta facendo per far emergere la propria vergogna ed i propri bisogni.       

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