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Report di Francesca Selloni su "Enactments" (20 maggio 2017)

La giornata di studio, attraverso approfondimenti teorici, momenti clinici e “liriche’ poietiche”, apre un dialogo a più ‘voci’ sul concetto di enactment.

Ascoltiamo il silenzio di una confessione, attraverso toni appena “sussurrati” fino a dialoghi vividi e accalorati (dove calore è movimento), su uno sfondo sempre attento e partecipe della sala. Dal silenzio, al calore del movimento l’enactment si manifesta con vivide immagini di stanze di analisi ed accurate teorizzazioni, oscillando da un antico timore dell’errore a momento trasformativo. Esso non prende una forma definita e statica, ma mantiene in sé le proprietà della psicoanalisi stessa, ovvero dinamiche non univoche con molteplici sfumature. Emerge con intensità, anche dalla vivacità intellettuale ed acuta delle discussioni, la complessità e la politonalità del termine, come concettualizzazione in itinere.

Maria Ponsi l’avvio ai lavori, ripercorrendo con noi l’evoluzione storica del concetto. Dibattuto in contesto nord americano, enactment è inteso al suo esordio come “messa in atto” di una fantasia inconscia, ostacolante e allontanante dalla pratica psicoanalitica. Alla fine degli anni ’80 si utilizzava quindi per descrivere momenti di azione congiunta nella coppia analitica, in cui l’analista si accorgeva solo a posteriori di essere stato sottilmente indotto ad agire (enactment di controtransfert). Il concetto oggi assume accezioni diverse. Si può considerare enactment un evento discreto, isolabile, riconoscibile, o anche un flusso di interazioni, “un episodio relazionale a reciproca induzione che si evidenzia attraverso un comportamento” (Filippini, Ponsi, 1993).

Dopo averci accompagnato in tre vignette cliniche, Maria Ponsi termina il suo intervento con una domanda che si fece agli esordi della nuova concettualizzazione: “Questo termine avrà un futuro?... Decisamente ora sembra averlo avuto!”

Segue Marco Monari che partendo da una citazione della prefazione del libro di Tabucchi “Il gioco del rovescio”, ci ha porta ad evocare i turbolenti e caleidoscopici moti che si animano nella stanza d’analisi e nella coppia analitica, specie quando ci si avvicina e si entra in contatto con la realtà psichica del paziente. Realtà che diviene più complessa con l’aumento di patologie al confine, caratterizzate da maggiore tendenza all’azione a scapito dei processi ideativi, simbolici e riflessivi.Azione, acting out, enactment, sono termini che rappresentano il rovescio della cura con le parole. L’analista non può sottrarsi a questo. Egli è sempre chiamato ad una forte partecipazione personale e ad un’attenta valutazione del proprio controtransfert, spesso visibile solo a posteriori. L’analisi si configura come luogo in cui la storia narrata biografica muta in una nuova storia, rendendo possibile esperienze trasformative. È una relazione viva e vibrante, in movimento, con un sottofondo poietico di parole ed immagini. L’identificazione empatica, quando il carico emotivo è saturo, può incepparsi, lo spazio di pensiero collassa ed emerge il bisogno di terzietà: teorie, dialoghi informali, supervisioni, ecc. L’enactment è il luogo degli agiti di fronte a stati mentali non contenibili dalle parole, è un fenomeno interattivo a reciproca induzione. Per essere funzionale, deve essere riconosciuto, elaborato ed interpretato e, in alcuni casi, può essere opportuna una self- disclosure.

Claudio Arnetoli sottolinea il valore della comprensione emotiva come esperienza fondante per l’analisi stessa. L’enactment, a livello concettuale, è un punto di arrivo, che parte dai primordi con il concetto di agierem di Freud. Tale termine ha permesso di recuperare gli aspetti positivi intesi come co-costruzione, comunicazione e trasformazione, specie in una comprensione a posteriori. È qualcosa che non si “decide”, ma in cui ci si trova implicati, nostro malgrado. È tuttavia ancora considerato contro-transferale, inconscio e collegato all’identificazione proiettiva, un tributo da pagare alla messa in scena del transfert di ripetizione. Nella sua stanza d’analisi, dove ci ha generosamente portato, ha preso la forma di un avanzamento del divano per ascoltare parole appena sussurrate...

Citando D. Stern (1998) sostiene che i now moment sono momenti cruciali dell’analisi. Se la risposta dell’analista, a questi momenti, è personale autentica, spontanea e immediata, il now moment è colto e trasformato in moment of meeting, capace di operare un cambiamento a livello delle primitive strutture dell’organizzazione mentale inconscia, nel mondo pre-simbolico, o meglio nel sub simbolico. La relazione analitica è definita come un sistema dinamico che si intesse attraverso un procedere insieme verso delle mete, in un reciproco adattamento costituito da interazioni verbali e non verbali, in un processo di sintonizzazione affettiva, in una mutua regolazione degli affetti. Un urto provocato dall’incontro con l’altro può ampliare gli orizzonti della conoscenza, il now moment è il momento dell’urto del paziente sull’analista. Può nascere da una disruption (rottura del rapporto) dovuta a fallimento empatico che, non riconosciuta, porta all’enactment.

È molto importante l’atto poietico dato dall’uso affettivo e validante del linguaggio dell’analista, attraverso cui esprime se stesso senza necessariamente fare self- disclosure, ma restando empaticamente vicino al paziente nel momento del “sorgere” del transfert evolutivo.

 

Discussione

 

disc enact

 

 

Le tre relazioni della mattina, estremamente puntuali e ricche di stimoli evocativi e concettuali, hanno dato vita ad un dibattito intenso, sullo sfondo dell’immagine “Las meninas” di Velazquez (1656), proposta da Monari per indicare un impensato vertice di visuale che svela l’artificio dello specchio. Un’atmosfera suggestiva e dinamica in cui, da subito, si sono tracciati parallelismi associativi tra azione poietica e now moment, riflettendo su quanto questa trasformazione potesse essere assimilabile al passaggio da trasformazioni in K a trasformazioni in O di Bion.

Nella parola interazione o enactment l’attenzione è posta sull’azione e non su ciò che c’è dietro l’azione o su tutte e due insieme. Le parole non sono un fatto solo verbale, ma contengono le emozioni, che sono a metà tra corpo e mente. Il somatico e lo psichico si intrecciano e sono due modi diversi di vedere la stessa realtà. Cosa accade nella seduta quando le parole non riescono a contenere le emozioni? Allan Shore, con i suoi studi sul cervello destro, ha osservato come le etero-regolazioni interiorizzate siano alla base della capacità di autoregolare le proprie emozioni. Il corpo-mente dell’analista può attivare una funzione di sostegno a tali capacità. La clinica ci ha mostrato, nel vivo delle sedute, le micro-interazioni tra paziente ed analista, dove non esiste dicotomia tra parola e azione; nella parola ci sono tutti gli elementi prosodici che animano e si fanno “corporei”; essi comunicano ad un livello sub-simbolico e veicolano significati sul piano emotivo.

Un tema che viene molto approfondito è l’empatia. È segnale della nostra integrazione, di quanto siamo in contatto con i nostri aspetti intimi? A volte ci appoggiamo alla ritualità, alle conoscenze, alle teorie, non siamo sempre in contatto emotivo e intimo con il paziente. Può essere necessario passare attraverso momenti di enactment, che con altri termini potremmo chiamare “co-costruzione agita del transfert negativo”.

Un recente studio si è interrogato sulle trasformazioni della struttura cerebrale. Come avvengono? Quando e come si sviluppano nuove reti neuronali? Quando si realizzano cambiamenti nella struttura neuronale? I risultati di questa ricerca indicano che tali cambiamenti non si verificano continuamente, il cervello opera su un doppio registro. A volte la struttura cerca di conservarsi, si chiude nella conservazione di ciò che ha incamerato, mentre in altri momenti la mente si apre a possibilità di cambiamento, attivando così tutta una serie di strutture cerebrali. È qui che c’è la possibilità di introdurre qualche cosa di nuovo. Siamo capaci di cogliere questi momenti?

Nella sessione pomeridiana si sottolinea l’aspetto processuale dell’enactment.

Giovanni Meterangelis, attraverso pagine intense e toccanti di un caso clinico, ci fa “sentire” come la sua paziente agisca attraverso difese dissociative molto forti e come in lui tutto questo risuoni empaticamente. La situazione lo conduce ad un enactment in cui l’intensità emotiva è molto forte. Riconoscere e pensare l’accaduto permette di trasformare l’evento in un importante momento evolutivo. Nella sua citazione conclusiva (una definizione di enactment dell’IPA) avvertiamo l’intensità del suo vissuto, generosamente condiviso con la sala: “Il vantaggio e il fascino del termine è che può essere usato per descrivere talune emozioni dell’analista che potrebbero essere altrimenti liquidate come azioni analitiche inadeguate. La soggettività dell’analista, la sua spontaneità e la sua vulnerabilità, devono ricevere più riconoscimento in quanto componenti necessarie e coerenti alla teoria del trattamento clinico”.

Anche Paolo Boccara ci accompagna nella propria stanza d’analisi. Descrive un enactment di contro-transfert che prende corpo in virtù di affetti e sentimenti dissociati. L’analista inizialmente considera l’evento solo come se stesse avvenendo nella paziente, negando il proprio vissuto. Poi comprende che stavano vivendo un’esperienza nel qui ed ora e non solo una ripetizione del passato. Da allora l’obiettivo analitico è stato far emergere la collisione per poter permettere alla paziente di tollerare ciò che in precedenza non le era stato possibile. Se dunque all’inizio considerava gli enactments degli errori, ora li ritiene utili a cogliere aspetti dissociati di sé indotti da aspetti dissociati del paziente. SecondoBromberg quando si prolunga l’interazione silenziosa tra stati del Sé silenziosi di paziente e analista, presto o tardi avverrà uno stallo terapeutico; quando invece avviene un enactment, è il livello della relazione nel qui ed ora che deve avere la precedenza. “Sopravvivere alla confusione” in questi eventi di “collisione intersoggettiva”, ci permette di cogliere aspetti traumatici. La dissociazione media la forma dell’enactment attraverso una forma sub-simbolica di coinvolgimento interpersonale, consentendo di esperire aspetti non-me esistenti nell’altro.

Giuseppe Riefolo ci propone una riflessione teorica sul concetto. Qual è la relazione tra enactment e acting-out? Quali nessi e quali soluzioni utilizzare all'interno della situazione analitica? L’enactment è una posizione che riguarda analista e paziente o è una funzione dell’analista? Ci propone l’idea esso attinga a una funzione simile a quella interpretativa per cui è l'analista che ha la possibilità di utilizzare questi eventi che, da acting, diventano enacting.

Riprendendo Bromberg, descrive il continuo movimento degli stati multipli del Sé, di analista e paziente, che entrano in contatto tra loro. La seduta è un continuo, enorme movimento di stati del Sé che collidono attraverso le due soggettività. Questo continuo movimento propone configurazioni diverse con significati precisi. Bromberg parla di processi dissociativi, non solo in senso patologico, ma come funzionamento della mente. Ad esempio, ci dice Riefolo, affinché questa giornata sia utile dobbiamo continuamente dissociare e associare nuove sinapsi e nuovi collegamenti neuronali. Il processo dissociativo è un processo creativo, non solo difensivo.

L’enactment nasce dalle riflessioni del campo del controtransfert, esiste e ne dobbiamo fare buon uso. Esso comporta la partecipazione soggettiva dell’analista, illumina l’hic et nunc, pone la questione della self-disclosure, presuppone l'esistenza dell'inconscio relazionale non rimosso e della conoscenza relazionale implicita. Il processo analitico può essere considerato come una serie di rotture e riparazioni relazionali, in cui è importante riconoscere gli errori per poter attivare qualcosa che altrimenti non sarebbe possibile attivare. Errori, curiosità, sorprese. La proposta del relatore è di differenziare l’acting–out dall’enactment. Il primo determina una perturbazione del campo, segnando l'inizio del secondo. L’enactment è un processo dissociativo (e intersoggettivo) che mette in moto una funzione specifica dell’analista. È un processo da accettare o da ricercare? Ci sono livelli simultanei di relazione, occorre porre particolare attenzione alle comunicazioni non verbali. L'analista è in una posizione privilegiata in quanto, attraverso l'interpretazione, può seguire le tracce dell’emergenza di materiale inconscio del paziente e ha l’obbligo etico di introdurre nuovi significati su quanto sta accadendo. L'analista stimola il paziente ad osservare quanto accade, aiutandolo ad essere co-autore della seduta analitica.

Si passa dalla messa in scena del transfert alla messa in atto dell’enactment, reso possibile dalla reazione soggettiva dell’analista.

Discussione

L’enactment è diventato un segmento dell’analisi ed è alla base dei processi psicoanalitici. Non possiamo sempre sapere il significato delle nostre azioni, a volte facciamo un agito senza che ce ne rendiamo conto. È una carenza della nostra disciplina? O ha a che fare con l'ineliminabile soggettività dell’analista? Anche se fosse una carenza, deve essere introdotta, pensata e comunicata al paziente perché la psicoanalisi porta a rendere pensabile ciò che non è pensato. È importante tenere a mente questo punto di vista, altrimenti il termine enactment potrebbe essere considerato come uno sdoganamento dell’azione. La questione è che siamo di fronte a fenomeni molto complessi, di cui cogliamo qualcosa, non tutto.

Si dibatte molto sul concetto e sui confini della self-disclosure. Ci sono momenti a vari livelli di intensità in cui si presenta al paziente un proprio fallimento, proprio lì dove il paziente aveva diritto che questo accadesse. In questo senso si parla di self-disclosure.

L’enactment, quindi, è possibile quanto più noi teniamo al setting e quanto più rigorosamente teniamo alla neutralità intesa come profondo rispetto dei processi, ma anche come coraggio nel mettersi a disposizione.

Si sottolinea, infine, come la dissociazione sia un prezioso dispositivo con cui fare i conti, che ci permette di vedere qualcosa che altrimenti non potremmo vedere.

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